La vergogna è un’emozione che è alla base di molti disturbi, semplici e complessi, e che può essere un’ottima alleata in psicoterapia per andare a individuare quegli eventi (traumatici) che hanno creato una disistima di sé e il bisogno di una protezione eccessiva di se stessi.
Quando si sviluppa?
La vergogna non è un’emozione di base, a differenza della gioia, della tristezza, del disgusto, della rabbia e della paura. Ovvero non nasciamo con la vergogna, e di conseguenza, possiamo affermare che i bambini sotto i tre anni difficilmente sperimentano vergogna.
E’ invece un’emozione sociale, che abbiamo iniziato a provare quando da bambini abbiamo sviluppato una Teoria della mente, ovvero quando abbiamo cominciato ad attribuire a noi stessi e agli altri degli stati mentali e ad agire sulla base della previsione del comportamento dell’altro. E’ una funzione che sviluppiamo attorno ai 5 anni.
La vergogna è stata definita come l’emozione dell’autoconsapevolezza perché, a differenza delle emozioni primarie, richiede una forma di autoriferimento, cioè un confronto tra le proprie azioni e i propri modelli o valori. Un confronto, potremmo dire tra Es (istinto) e Super-Io (modello di valori), quel confronto dove l’Io sta sempre in mezzo a cercare di fare ordine tra le due istanze (che fatica… povero Io!).
Analizziamo la parola…
Trovo interessante analizzare la parola vergogna, per comprendere gli effetti che ha su di noi. Contiene la parola gogna, che era nel medioevo uno strumento punitivo, di contenzione, di controllo, di tortura, utilizzato prettamente durante il Medioevo.
La messa alla gogna era l’esposizione alla pubblica derisione, in genere nelle piazze di mercato e negli incroci. Spesso un cartello era appeso al collo del malfattore, o nelle vicinanze, con l’iscrizione del delitto e della pena. La pena della gogna durava generalmente poche ore o qualche giorno. La folla poteva schernire il malcapitato e farne bersaglio delle proprie tensioni. Era comune che si prelevasse dai pozzi neri lo sterco per imbrattarne capelli, naso, bocca, oppure che si lanciassero sassi o verdure marce, che si ustionasse il malcapitato o gli si procurassero lacerazioni poi ricoperte di sale, o gli si provvedesse a fare il solletico ai piedi o ai fianchi.
La persona, così esposta, diveniva a vita l’esempio negativo da non seguire, col marchio dell’infamia addosso. Di fronte a questa emozione, sperimentiamo la stessa messa alla gogna, la stessa esposizione.
A cosa serve la vergogna?
Per capire la sua funzione negativa, dobbiamo prima capire la sua funzione positiva, perché, se la possediamo nel nostro bagaglio di emozioni, ha una sua utilità.
Il timore alla base della vergogna è proprio la perdita dell’accettazione e dell’approvazione da parte degli altri e attraverso essa comunichiamo facilmente di aver presunto troppo e di non voler competere, condividendo così i valori del gruppo e ristabilendo l’equilibrio. L’utilità sta nell’evitare che gli altri infieriscano ulteriormente con aggressività: implicitamente si chiede di essere accettati e non venire esclusi.
La vergogna ha perciò anche una funzione protettiva nei confronti della nostra identità, un po’ come una difesa (sociale) che permette di preservare l’immagine che gli altri hanno di noi, in quanto ci consente di regolare il nostro comportamento, specialmente in base al contesto di riferimento.
I segnali non verbali della vergogna
A livello non verbale, tale emozione si manifesta con il rossore, l’abbassamento della testa e dello sguardo. Il rossore è un effetto involontario e sincero che non può essere prodotto intenzionalmente o simulato. La vergogna si manifesta anche attraverso il capo e gli occhi bassi, che evitano lo sguardo degli altri.
Questi segni non verbali manifestati da chi si vergogna esprimono la volontà di nascondersi e di sottrarsi dal giudizio altrui. Dunque, l’abbassamento della testa e dello sguardo, costituiscono, insieme al rossore, dei segnali di acquietamento o di pacificazione del soggetto che prova vergogna, il quale è come se si consegnasse al giudizio degli altri chiedendo implicitamente perdono per non essere aggredito.
In cosa si differenzia dall’imbarazzo
La vergogna, nonostante sia da alcuni autori considerata una parente strettissima dell’imbarazzo, differisce da quest’ultima emozione per il livello di intensità. L’imbarazzo è un’emozione più mite, che non turba i pensieri, e l’autoimmagine. Inoltre, a livello non verbale, l’imbarazzo porta a una mimica e una gestualità che si alterna tra evitamento e avvicinamento, mentre la vergogna è più sconvolgente e catastrofica in quanto associata al desiderio di nascondersi e/o di scomparire.
Cosa comporta la vergogna?
In terapia, utilizzando la vergogna come emozione che fa da collegamento a più esperienze passate, si scoprono diversi traumi personali ad essa associati. Si scoprono momenti in cui si è percepita la vergogna a livello personale, o ci si è vergognati per i propri genitori o la propria famiglia o ancora si è percepita la vergogna dei propri caregiver verso l’esterno.
È l’esperienza di un Sé messo a nudo, inadeguato rispetto a standard e richieste dell’ambiente e come tale giudicato dagli altri. E’ dunque un Sé che ha perso forza a causa di queste esperienze, e che, in terapia, si presenta fragile e con la richiesta più o meno esplicita di essere rafforzato. Attraverso la vergogna, le persone hanno sperimentato un’immagine fallimentare di se stessi, la sensazione di non piacere a nessuno, di non essere abbastanza bravi, di dover subire, di non valere, di essere terribili o deludenti.
Avrai capito che è uno dei sentimenti cardine per l’isolamento sociale, o, più in generale, per l’introversione. Ma è anche una delle emozioni base nei disturbi come l’ADHD, il mutismo selettivo, alle fobie specifiche, alle ossessioni (si sta solo sul pensiero per non contattare la parte emotiva), il disturbo esplosivo intermittente, la depressione e gli attacchi di panico.
Prova tu…
Chiudi gli occhi, e senza cercare nulla di specifico, immagina di essere su un gommone che ti porta indietro nel tempo, a quei momenti in cui hai sperimentato un’intensa vergogna. Non devi cercare nulla di specifico, lasciati portare nella giovane adultità, poi nell’adolescenza e infine nell’infanzia, i ricordi si presenteranno da soli.
Probabilmente, sono quegli stessi ricordi che hanno creato in te un’allerta continua, tesa a non farti sperimentare questa emozione che hai appreso essere dannosa. Per ciascun ricordo, chiediti se è esattamente uno dei primi, o se puoi andare ancora più indietro.
Terminata la lista, chiediti qual è l’immagine peggiore del ricordo, e quanto ti disturba ora che ci ripensi, su una scala da 0 a 10, dove 0 è nessun disturbo e 10 è il più alto disturbo immaginabile. Valori sopra al 6, sono probabilmente traumi, grandi o piccoli, che hanno ancora un impatto sul presente, sul tuo modo di relazionarti agli altri. I traumi da elaborare.
Come reagire?
Utilizza questa emozione, la vergogna, portala in terapia e usala come guida per trovare col terapeuta i traumi ad essa associati. L’avrai così come alleata per cercarli. Ogni trauma i può elaborare, le tecniche sono varie. Una di queste, è l’EMDR.
Autore: Dottor Giovanni Garufi Bozza, psicologo, Psicoterapeuta, Esperto in Psicologia della Salute e in terapia EMDR, Psicodiagnosta, Consulente tecnico di parte tribunale Civile di Roma. Contattami qui.