NB: in fondo a questa sezione troverai alcune domande di salute da porti per comprendere meglio l'ADHD. Ti invito a prenderne visione.
Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, o ADHD, è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo, che include difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività. Questi problemi derivano sostanzialmente dall’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente.
Non è una normale fase di crescita che ogni bambino deve superare, e tanto meno il risultato di un’educazione inefficace o un problema legato alla «cattiveria» del bambino.
L’ADHD è un problema che coinvolge più livelli (l’individuo, la sua famiglia e la scuola) e che genera sconforto e stress nei genitori e negli insegnanti che si trovano spesso impreparati nella gestione del comportamento del bambino.
Può essere di tre tipi: disattenzione prevalente, tipo impulsività/iperattività prevalente, tipo combinato (sia disattenzione che impulsività). Spesso richiede l’ausilio farmacologico (es. metilfenidato cloridrato).
L’approccio che utilizzo per la gestione delle problematiche ADHD si situa a più livelli:
Individuale: con un approccio basato sulle strategie cognitivo-comportamentali e sulle dinamiche sistemiche, aiuto il bambino ad apprendere strategie di autoregolazione e a prendere coscienza dell’emotività sottostante al proprio comportamento iperattivo, l’esplosività che ne è alla base, che spesso viene definita dagli stessi utenti come “un nero”, “un fuoco” difficile da gestire e contenere, che si traduce in un bisogno di muoversi, di non stare fermo, in una difficoltà a concentrarsi.
Contestuale: contatto la scuola e concordo degli incontri, luogo dove il bambino passa più tempo e dove si manifestano la maggior parte dei comportamenti iperattivi. Sostengo gli insegnanti e concordo con loro delle strategie di gestione dell’ADHD, coinvolgendo anche la classe e il gruppo dei pari.
Familiare: lo considero un livello imprescindibile. Molto spesso un bambino con ADHD appartiene a una famiglia con regole contraddittorie, spesso isolata, con nonni assenti, poche attività extra-lavorative, pochi amici dei genitori e del cosiddetto “paziente designato” (il ambino che viene in terapia). E’ frequente trovare conflitti nella fratia genitoriale, coperti o manifesti.
Sono famiglie dove spesso uno dei due genitori (in prevalenza il padre) è assente e l’altro mostra segni di depressione.
Il bambino con ADHD assume allora il ruolo di paziente designato che fa da colla alla coppia genitoriale e che garantisce l’unità di tutto il sistema familiare: attiva i genitori proteggendoli dai loro conflitti coniugali (inconsciamente: se pensate ai miei problemi, non pensate a quelli della vostra coppia).
Assume il ruolo di polo emotivo della famiglia, di sveglia, attivatore e antidepressivo. È il partner competente della madre con depressione, per richiamare così il padre dentro il sistema.
Spesso legando la terapia individuale a quella familiare, il paziente designato riporta alla luce il conflitto della coppia, della famiglia intergenerazionale, il padre assente (reso tale anche dall’iper-competenza della madre), denuncia la depressione materna. Reclama, passando dal sintomo alla presa di coscienza, la sua volontà di svincolarsi dalla famiglia, individuandosi.
Vi porto in terapia, così salvate la coppia, vi aprite al mondo. E io sono libero, e torno a fare il figlio.
Domande utili all’individuo con ADHD e al suo sistema per capire “l’utilità” del sintomo ADHD:
Ci sono conflitti intergenerazionali nella famiglia?
Le famiglie d’origine (nonni) sono assenti?
C'è un assenza di una rete sociale adeguata?
La madre mostra segni di depressione? (anche l'iper-coinvolgimento con il figlio è sintomo di depressione, come tutte quelle attività che annullano la madre in quanto donna, che la portano a rinunciare in toto alla propria realizzazione personale e ai propri interessi).
Il padre è arrabbiato? E' un padre assente? (Non si parla solo di assenza fisica, ma soprattutto della non disponibilità a coinvolgersi emotivamente con la famiglia, a delegare l'educazione del figlio alla madre, a non giocare col figlio, ecc.)
Ci sono emozioni congelate e non espresse? C'è un dialogo sincero in famiglia su ciò che si prova e si sente?
Ci sono regole rigide? Ci sono regole contraddittorie?
Ci sono segreti in famiglia?
C'è stata una adultizzazione precoce del figlio (sei l'ometto di casa, bada tu alla mamma/al papà, che io non posso, prenditi cura tu dei tuoi fratelli)?
C'è stata in passato la triangolazione del figlio (si attacca il figlio, così non si litiga, si pensa ai problemi del figlio così non si pensa ai problemi di coppia)?