Da una stima del 2013 è emerso che, in Italia, quasi una donna ogni due giorni è rimasta uccisa da un uomo. 179 donne in 365 giorni. Per non parlare di quelle massacrate di botte, ma ancora vive.
Nel 2015 gli omicidi sono leggermente calati, le donne ammazzate, in casi riconosciuti come femminicidio, sono state 128, una media di una donna ogni 2,85 giorni.
L’Agenzia UE per i Diritti Fondamentali ha recentemente presentato la più ampia ricerca mai realizzata in Europa, condotta su un campione di 42.000 europee (1.500 per paese) appartenenti agli stati membri.
È emerso che oltre sessanta milioni di cittadine hanno subito violenza tra i 15 e i 74 anni. Una statistica dove l’Italia compare al diciottesimo posto su ventisette Paesi coinvolti (Croazia compresa). Da noi, ogni 7 minuti un uomo stupra o tenta di stuprare una donna; ogni 3 giorni, un uomo uccide una donna e, su scala europea, una donna su dieci ha subito una qualche forma di violenza sessuale a partire dai quindici anni.
Una su venti è stata stuprata.
La famiglia emerge come il contesto elettivo della violenza: il 22% delle europee ha subito violenza fisica o sessuale dal partner.
E gli assassini, gli abusanti, chi sono? Gente comune, di ogni ceto sociale. Spesso insospettabili. Ho trovato online un dato interessante: le ricerche compiute negli ultimi dieci anni dimostrano che la violenza di genere verso le donne è endemica nei Paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali e a tutti i ceti economici.
Come me e come te.
È facile pensare che siano dei maledetti, dei bastardi, dei brutali. Dei diversi, rispetto a noi. Altro, rispetto a noi. Non lo erano. Lo sono diventati nel momento in cui hanno sferrato il primo colpo. Il giorno prima, forse, condannavano la violenza, come me e come te.
Certo, tra loro troveremo narcisisti patologici, dei borderline, qualche psicopatico, qualche represso, qualche sadico. Troveremo anche chi ha visto il padre picchiare la madre e ne ha appreso il comportamento. Ma, in fondo, a cosa ci serve distinguere tra noi e loro? Se gli elementi comuni tra noi e loro sono di essere uomini, italiani, di ceto sociale vario, di media statura e la faccia da bravo ragazzo, perché non partire proprio da questi elementi comuni ed eliminare del tutto, almeno idealmente, ogni forma di violenza verso le nostre compagne, anche quelle più sottili, che senza saperlo attuiamo?
La cosa più difficile è ammettere di avere un problema. Spesso non vogliamo accettare di essere come loro, anche quando tutto dimostra il contrario. Ed è un male. Perché forse è vero che non abbiamo problemi, ma è anche vero che il più delle volte non li vogliamo accettare. E, così facendo, non li vediamo, fino a non gestirli più.
In più, siamo inseriti in una società che dà al maschile una connotazione sempre più infelice, che non consegna cartelli direzionali chiari su un modello di maschio condiviso.
La provocazione del mio libro è proprio il non fartelo leggere perché hai ammesso un problema, ma fartelo leggere perché il problema tocca anche te. Sei uomo? Hai una compagna? Allora sei potenzialmente un assassino di donne. Quindi puoi leggere questo libro e attivarti per cambiare le cose.
Tuttavia, nel titolare un testo con Io sono un femminicida, voglio far notare anche un dato opposto: è vero che, per una serie di ragioni che proverò a spiegare nel testo, siamo potenziali femminicidi, ma è vero anche che veniamo facilmente descritti come tali.
Tratto da: Io sono un femminicida, di Giovanni Garufi Bozza
Bibliografia:
Garufi Bozza, G. Io sono un femminicida, il maschile disperso nel terzo millennio, dal Patriarcato al Pari-arcato, Latina, Edizioni DrawUp.
MARZI, G. (2013) Femminicidio e violenza di genere: dal sommerso alla presa di coscienza, www.psicoanalisi.it.