un romanzo celeberrimo mancava alle mie letture, Il Gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
E dire che lo avevo sempre avuto nella mia libreria, ereditato dalla mia nonna paterna, che me lo donò tanti anni fa, un giorno che mi ero fermato a guardare i tanti libri che aveva in casa. Mi disse: “Prendilo, non si può non aver letto il Gattopardo“.
E non si poteva davvero, e finalmente, dopo anni, le ho dato retta.
Al di là della preziosità storica del periodo narrato, quello del Risorgimento italiano, letto da un’ottica particolare, una famiglia filo-borbonica che accetta il passaggio dei poteri sotto i Savoia, sotto un nuovo Stato unito, e con l’ascesa della borghesia, il vero peso di questo romanzo è nello stile di Tomasi di Lampedusa.
Non fu un caso che questo romanzo vinse il premio Strega, battendo anche Una vita violenta, di Pasolini. Era il 1959, un anno dove, probabilmente, il premio Strega aveva ancora un valore meritocratico.
Il Gattopardo, che risulterà ostico ai lettori meno esperti, è a mio avviso una vera e propria celebrazione della lingua italiana, e mostra come davvero si possano costruire dei periodi capaci di trascinare il lettore in sensazioni, emozioni, e metafore, che lo fanno vibrare.
C’è chi ha definito questo romanzo, più che un romanzo storico, una riflessione sul disfacimento e sulla morte, con uno sfondo di una Sicilia che richiama ere mitologiche, e contesti dove i siciliani sono descritti come gente difficile da far mutare. Dirà l’autore che ci provarono i greci, i fenici, i romani… i Borboni… non ci sarebbero riusciti nemmeno i Savoia. E proprio sulla morte voglio prendere un passaggio, esemplificativo di come si possa giocare con la lingua per regalare la sensazione stessa della morte che si avvicina: Erano decenni che sentiva come il fluido vitale, la facoltà d esistere, a vita insomma, e forse anche la volontà di continuare a vivere, andassero uscendo da lui lentamente ma continuamente, come i granellini si affollano e sfilano ad uno ad uno senza fretta e senza soste dinanzi allo stretto orifizio di un orologio a sabbia.
A Tomasi di Lampedusa, oltre che a uno spaccato di storia e cultura di un’Italia nascente, dobbiamo un romanzo pregno di periodi che avvolgono il lettore, portandolo nei profumi, nei gusti e nell’aria dell’epoca. Il vero talento non è solo in ciò che si scrive, ma in come lo si scrive. E l’autore che risulta capace di stimolare i cinque sensi, di regalare olfatto, tatto, vista, udito e gusto, attraverso le parole scritte, ha l’incredibile dono di chiudere la realtà in un libro, tramestarla a suo piacimento, e restituirla, con una storia per lo più inventata, allo stesso lettore, senza che una goccia di profumo, il fruscio di una foglia, un sapore, si sia perso.
Amo quel genere di autori, inarrivabili, che sanno farti respirare i profumi della primavera quando è inverno (esalava profumi untuosi, carnali…), che sanno stimolarti l’acquolina in bocca, anche se hai appena cenato, che sanno farti gustare il sapore di un vino, o di una pietanza, con semplici parole tracciate su un foglio. E ancora, che sanno farti respirare la sensazione di invecchiamento e di morte quando sei giovane, o farti rivivere la sensazione di giovinezza quando essa ti ha già abbandonato. Di questi autori non potrai dire che sanno scrivere, apparirebbe riduttivo, essi riescono a rendere vera arte la scrittura.
E di fronte a questo talento, la storia in se passa persino in secondo piano. Perché la storia tracciata dal Gattopardo, per quanto contestualizzata in un periodo storico importante per il nostro Paese, è una storia che non ha pretese eccessive, ma che regala al lettore ben più di quanto, umilmente, vuole narrare.
Consigliatissima la lettura.
Come disse mia nonna, non si può non averlo letto.
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