Caro Visitatore,
Oggi ti parlo de La serpe rossa, libro di Gualtiero Serafini, già presentato a Radiovortice.it.
2012. Un evento passato inosservato e tenuto nascosto. 2082. La Terra, suddivisa in principati, è nelle mani di potenti che hanno portato il genere umano all’autodistruzione. Esaurimento delle risorse, inquinamento, piogge acide hanno lacerato profondamente la Terra. Solo i più ricchi possono permettersi delle cavie, esseri mostruosi da cui poter estrarre gli organi vitali per i trapianti. In tutto questo il Principe Prospero cercherà di assoggettare il mondo e tutti gli altri principi a lui, creando un virus dal nome Serpe Rossa in grado di uccidere nel giro di 24 ore. Virus che sfuggirà al suo controllo costringendolo, insieme ai suoi sudditi, ad abbandonare la Terra e rifugiarsi sulla sua stazione orbitante creata per ospitare 28 persone. Stazione dotata di ogni comfort e di laboratori dove poter studiare un antivirus estraendolo da una cavia, chiamata Calibano, perché solo le cavie sono immuni alla Serpe Rossa. Sulla stazione la vita delle 28 persone si svolgerà tra inganni, intrighi, amori, passioni dove l’animo umano sarà messo a nudo. Alla fine, la salvezza dell’umanità sarà nelle mani della Principessa Altaira, figlia di Prospero, e del Calibano.
L’ho terminato in tre ore, merito dello stile veloce, semplice e senza pretese di Gualtiero, già sceneggiatore, che fa scorrere le immagini davanti con un buon ritmo.
Ho sempre avuto l’idea che il genere fantascientifico potesse far riflettere sull’uomo e sul suo cammino evolutivo, sulle sue storture, sui suoi peccati, avvicinandosi al romanzo sociale. Il libro di Serafini si spinge oltre, diventa vero e proprio romanzo sociale (genere che personalmente apprezzo) e si allontana dal genere fantascientifico, che personalmente non amo (de gustibus…).
I colpi di scena sono ben scanditi, imprevedibili, come lo è l’uomo. A far da sfondo un luogo chiuso, isolato, dove le personalità emergono, assieme ai peccati. Serafini condanna il genere umano, o meglio, l’indole malvagia che lo abita e lo fa con fantasia, prevedendo che l’unico male che distruggerà l’umanità è l’uomo stesso.
Qualche critica ci sta sempre. La semplicità dello stile e dell’intreccio, salvo i colpi di scena che non mi aspettavo, l’ho percepita al contempo come un limite. Avrei aumentato le metafore, rinunciando un poco alla filmografia in favore della letteratura. Avrei incrementato la parola, rinunciando un minimo all’immagine diretta.
Salvo alcune eccezioni, come Sate Pestage e un altro (che non svelerò) i quali hanno una sorta di ambiguità, i personaggi sono poco complessi, non sfuggono alla maschera che Serafini gli impone: puramente buono, puramente malvagio, il bastardo, la puttana, la puttanella, l’insignificante, la palesemente ambigua (assai palesemente, tanto da indossare la rigida maschera del doppio).
È una critica, sì, ma anche un’autocritica, è lo stesso difetto che ho io. I personaggi, salvo rare eccezioni, iniziano e finiscono con lo stesso temperamento. E, sapendo di creare maschere, e lavorando per togliermi il vizio, è un fatto che noto subito come lettore.
Critiche che rovinano la lettura? Affatto. La serpe rossa è da leggere, ma da neo-lettore di Serafini, mi piace pungolarlo per spronarlo a migliorarsi.
L’ultima critica si lega a quanto già detto: avrei osato di più anche a livello emotivo. Ci sono scene di sesso e di violenza dove Serafini sembra mettersi i guanti di velluto per mostrarle al lettore, ma che erano la base per una buona dose di pathos. A volte bastava quello sguardo o quella lacrima in più. Solo all’ultimo l’asticella si alza, sul finale Eros e Thanatos si incontrano e amoreggiano nella stessa stanza, coi fuochi d’artificio.
In sintesi il limite di Serafini coincide con la sua risorsa, da bravo sceneggiatore mette in scena ciò che è visibile, gli dà enorme valore, va meno nel profondo, sceglie il visivo come canale privilegiato, meno la pancia.
Ecco perché la mia, alla fine, è una falsa critica, un pungolo per spingerlo a uscire da sé, ad indagare altre strade.
Al versante opposto l’originalità, la capacità di far scorrere le righe sotto gli occhi, il ritmo veloce e coinvolgente (non mi è mai capitato di leggere un libro in tre ore, di sospenderlo un attimo e riprenderlo subito in mano), la riflessione che lascia sulla natura umana e il messaggio sotteso, che purtroppo non è positivo per il genere umano: forse possiamo farcela, di certo è già troppo tardi.
Buona lettura,