come ti avevo preannunciato nel post dell’intervista, ho letto Padri imperfetti con grande interesse. Mi è stato donato in versione ebook dall’autore Alessandro Curti, che ringrazio.
Sono stato stimolato dal titolo e dalla scelta che esso comunica di concentrarsi maggiormente sulla figura paterna, in un lavoro come quello di Alessandro di educatore che coinvolge entrambe le figure genitoriali.
La figura del padre è molto particolare, diversa da quella materna e non sempre complementare. C’è una frase che scrive l’autore parlando di sé, che mi ha colpito molto.
(Le donne hanno) nove mesi in cui percepiscono i loro mutamenti fisici e durante i quali sentono la vita che cresce in loro. Nove mesi in cui sono GIÀ in due. Per noi uomini non è così: rimane tutto teorico fino a quel momento. (…) diventare papà è sostanzialmente differente dall’essere padre. Essere padre è un’esperienza (…) un processo (…) un percorso che non finisce mai (…) un ginepraio. Forse è per questo il motivo per cui alcuni padri diventano tali ma scelgono di non esserlo? Forse. Nella mia esperienza di padre imperfetto ho però deciso una cosa: devo assumermi la responsabilità dell’essere padre, perché mia figlia non può pagare il prezzo mi una mia eventuale defezione.
Un po’ di sinossi:
Quando un uomo può essere definito padre? Forse nel momento esatto in cui la sua creatura nasce? O quando decide di crescerla? Oppure quando le rimane accanto anche nelle difficoltà? Un uomo che fugge di fronte al figlio è pur sempre un padre? Alcuni uomini decidono di lottare per prendersi cura dei loro bambini, passano intere giornate aspettando che la loro piccola si decida a trascorrere il pomeriggio con loro e a chiamarli “papà”, altri lottano in tribunale per mantenere la custodia di un figlio, ma qualcuno scappa di fronte alle responsabilità. Tre padri. Tre figli. Tre storie dolorose nelle quali Andrea, educatore, viene chiamato ad intervenire per dipanare la complicata matassa di relazioni generazionali e di coppia. Un educatore e il suo impegno nell’affrontare le imperfezioni di alcuni padri che lo riconducono, inevitabilmente, a rileggere la sua storia di figlio e di padre. A volte i padri lottano, altre volte scappano, ma in ogni caso lasciano un segno indelebile nelle vite dei loro figli.
Emozioni e relazioni sono gli ingredienti fondamentali di Padri imperfetti. Emozioni spesso difficili da comunicare e a volte persino da sentire in una relazione genitore figlio. Emozioni che talvolta si dividono tra l’amore per il figlio e l’odio per il partner che ha contribuito a generarlo. E già se la dicotomia è chiara siamo fortunati… talvolta è ancora più confusa… Relazioni in cui spesso occorre qualcuno che ricucia quello che manca, in cui spesso (vedi uno dei personaggi, il giovane Niccolò) ci si ritrova triangolati in un conflitto dove non si riesce a distinguere la figura dell’ex partner dal suo ruolo genitoriale. Una triangolazione in cui i figli si ritrovano ad essere specchio indefinito delle emozioni ambivalenti dei genitori.
Padri che faticano a capirsi e a capire un figlio che cresce, che non distinguono il saper essere genitore nel quotidiano e l’essere genitore del week-end, posizioni con stili educativi completamente diverse.
Nonni che si ritrovano a fare i genitori di un ragazzo che, per via del progresso, ha una cultura totalmente diversa dalla loro, in una posizione scomoda, dove la figura del nonno (che coccola, che è permissivo) deve essere castrata per ricoprire a fatica un ruolo educativo che in genere al genitore (più giovane) compete. Genitori che fuggono al loro compito e altresì genitori che sono impediti nel loro ruolo educativo da una patologia mentale grave, come il disturbo bipolare.
Tribunali troppo lenti nel loro ruolo di intervento, una macchina processuale che cura il supremo benessere del figlio fino a 17 anni 364 giorni, quasi che allo scoccare del 18 anno fosse in grado di cavarsela da solo. La critica di Alessandro è velata ma palpabile al lettore.
Storie di malattia, in cui trionfa il pathos e al lettore spunta una lacrima, e storie di normalità che si trasformano in matasse in cui le emozioni vengono taciute. C’è un cocktail di storie e situazioni, che possiamo riportare alle due carte vincenti che Alessandro descrive con abilità, le emozioni e il saper essere in relazione. E quando entrambi gli elementi vengono a deficitare, ecco spuntare la figura dell’educatore, impersonato da Andrea, che ha il difficile compito di ricostruire la tela dei rapporti, di insegnare un mestiere che non si può apprendere, se non con l’esperienza.
Potrei fare mille riflessioni psi su questo testo, ma le tengo per me e per la mia professione, e mi limiterò a consigliarlo, perché sia l’operatore professionale sia il genitore, possono trovare tanti stimoli di riflessione.
Il linguaggio che Alessandro usa è semplice, a volte anche troppo, con costruzioni molto brevi e termini poco variati tra loro, con una prevalenza del dialogo a scapito del narrato. Forse possiamo portare anche questa semplicità sul lato della positività, dato che è un testo per tutti, lettori della domenica e lettori pretenziosi, e la sua funzione è proprio questa: essere fruibile ai più.
La prima è nella necessità di un editing più approfondito. Non ci sono errori grammaticali (a parte uno che non rivelerò se non all’autore), ma ho notato un uso della virgola da rivedere o quantomeno da incrementare in diversi passaggi del testo (come in vari incisi mancati, dove c’è una virgola, anziché due). Quando si autopubblica, non avendo una casa editrice alle spalle, è quanto mai utile un editing professionale… a volte, ovviamente, lo è anche quando si pubblica con casa editrice, visto che molte di loro non lo fanno o lo fanno in modo penoso, a danno dell’autore.
La seconda perplessità è invece sulla figura di Andrea, centrale in tutto il testo. Non so quanto rispecchi il carattere di Alessandro, non conoscendo l’autore di persona, ma traspare la sensazione che lo rappresenti in buona parte. E la sensazione che compare subito dopo è che abbia riversato su esso quasi un Sé ideale, anche troppo. Possibile che Andrea nella sua professione non abbia mai una perplessità? Possibile non compia mai un errore o non si faccia prendere da un dubbio? Le professioni simili alle nostre sono piene di dubbi e, spesso, errori. Hanno a che fare con la mutabilità e la variabilità del genere umano. Gli uomini non sono organismi sempre e comunque prevedibili.
Andrea è perfetto, non sbaglia un colpo, ha sempre la risposta giusta al momento giusto, sa sempre cosa e quanto rispondere, mai una caduta, mai uno sbaglio, mai un dubbio. Un super educatore, insomma. Tanta è la perfezione, che l’ultima parte del testo, in cui Andrea riceve un nuovo incarico mentre guida, mi ha ricordato quei film dove i supereroi, dopo aver sconfitto mari e monti, vengono chiamati per l’ennesima missione. I veri eroi non si fermano mai…!
Francamente è poco credibile e mi ha lasciato alquanto perplesso. A questo, va aggiunto che in certi passaggi il parlato di Andrea somiglia a quello di un manuale. Mi sono chiesto più volte se io, vestendo i panni di genitore imperfetto e non formato alla psicologia, avrei compreso le sue spiegazioni. Forse no, e se sì, tanta ostentazione di saccenza mi avrebbe dato fastidio, avrebbe incrinato il rapporto con una figura fondamentale.
Andrea (o Alessandro?) ha la verità in tasca e sembra tenere a sfoderarla ogni volta che può. Questo rende le storie narrate meno credibili. Forse sono reali, forse sono verosimili, poco importa, il lettore non credo se lo chiederà. Sembrano però diventare fiction con il modus agendi di Andrea, poco veritiero a mio avviso. Ed è un peccato, perché è un testo che non deve permettersi di cadere nella finzione.
Terza perplessità è un’incoerenza notata nel testo, ma qui sto cercando il pelo nell’uovo, lo ammetto. Fin dalle prime pagine, in una delle tre storie narrate, compare una coppia padre-figlia: Filippo e Alice. Quest’ultima, per buona parte del libro, lo chiamerà per nome o con il diminutivo Filo. Senza anticipare troppo, un brutto incidente e il lavoro di Andrea, riavvicineranno padre e figlia. Quest’ultima inizierà a chiamarlo papà. Filippo non si scompone minimamente della cosa, sembra anzi non notarlo, mentre io, da lettore, pensavo dentro di me: se ne accorgerà tra poco… ma non lo nota… ma Alessandro si è scordato di scriverlo… manco un sorriso…? Credo sia una dimenticanza, che però crea una distanza emotiva tra lettore e narrato.
Scritto ciò, ringrazio Alessandro per gli stimoli che mi ha fornito e per rendere ancora più incalzante questa recensione, a breve condividerò con te, caro Visitatore, delle domande-stimolo che Alessandro pone nella postfazione, e che ha posto a sé stesso nel diventare padre. Il mestiere di genitore non lo insegna nessuno, è un’esperienza, come scrive Alessandro. Ma come in tutte le cose, porsi le giuste domande può aiutarci in questo difficile compito, ma a questo dedicherò a breve un altro post. 😉
Buona lettura!
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