Caro Visitatore,
tempo fa mi è stata proposta la lettura di Have you seen this girl, dalla stessa autrice, Maura Grignolo.
Ho letto la trama, che mi ha promesso una lettura intrigante, con un plot d’effetto.
Thea Valentine, sedici anni, viene rapita durante una festa a Portland. Tenuta prigioniera per quasi un mese, riesce miracolosamente a scappare. Tornata a casa, crede di essersi lasciata alle spalle l’incubo da cui è appena sfuggita. Mentre le indagini della polizia continuano senza sosta, strani incidenti convincono Thea che nel buio ci sia qualcuno che controlla ogni sua mossa. E più cerca di capire chi possa essere, più si convince che quell’odio si nasconda tra i suoi amici, forse nelle vesti del suo stesso ragazzo. E che forse la sua fuga da quella cantina degli orrori, non è stato un miracolo, ma un piano ben orchestrato per farla precipitare sempre di più in una spirale di morte.
Purtroppo, ho presto scoperto che si trattava di luce finta. Questa storia può rientrare nel calderone dei voglio provare a fare la scrittrice, ma non ho le basi per farlo.
Credo, fermamente, che essere artisti non sia per tutti, e che per mandare avanti i meritevoli, sia necessario bocciare i non meritevoli.
Esporrò dunque i forti limiti di questo romanzo.
Primo tra tutti un editing mal fatto, che ha lasciato refusi, sfondoni grammaticali (qual erano, qual è con l’apostrofo, i sì affermativi senza accento…), e un uso della virgola che spesso stravolge il senso stesso della frase, costringendo il lettore a rileggere più volte alcuni periodi per coglierne il reale senso.
Per il resto, la scrittura risulta basica, scolastica, non un periodo complesso, non un termine ricercato, non una metafora che colpisca il lettore. Non una frase che esca dallo schema soggetto, verbo, complemento oggetto. E questo non è saper scrivere.
Torniamo al plot. Sono partito sostenendo che poteva essere d’effetto, e l’idea era buona davvero, peccato che ogni capitolo sia diventato una continua ripetizione: Thea (la protagonista) sta con le amiche, si sforza di ricordare, Thea non ricorda, Thea non vuole sapere, toh!, compare il cattivo… alcuni capitoli sono palesemente inseriti per allungare il brodo.
In alcuni passaggi, nonostante la a verità sia chiara al lettore già da metà libro, i personaggi assumono atteggiamenti inverosimili e forzati.
Alcuni esempi: la protagonista riceve minacce da un numero di cellulare ma non le viene minimamente in mente di indagare di chi sia quel numero. Anzi, in una strana vena che sa di masochismo perverso, si lascia torturare psicologicamente dai suoi aguzzini senza chiedere aiuto a nessuno, neanche a suo fratello sostituto procuratore. Abbastanza forzato, no?
Altri personaggi sanno chi sono i colpevoli (che, chiariamo, hanno seviziato la protagonista diciassettenne in un modo talmente inverosimile che manco in un film splatter di terza mano…) e invece di dirlo alla polizia o alla protagonista, le ripetono “inutile che ti diciamo chi è il tuo Hannibal the Cannibal tanto non ci crederesti, gne, gne, gne…“. Neanche parlassero di chi le ha semplicemente spoilerato il finale di un film o rubato la maglietta preferita. Ah, e naturalmente il cattivo può presentarsi davanti alla protagonista-vittima, chiamarla al telefono, menarla, senza che lei si renda minimamente conto di chi sia… Ha problemi seri ‘sta Thea…
Poi non parliamo del movente del perfido persecutore, perché non mi piace lo spoiler. Ma è di una banalità disarmante.
In più l’atteggiamento stesso delle diciassettenni nella visione di Maura, fa consigliare all’autrice di farsi un giro tra i licei. I tempi di mi hai baciata e sei sparito, perfido… direi che erano superati già da Dawson’s Creek.
Passiamo poi al contesto. Se l’Italia ti sembra troppo piccola per la tua storia, a me va bene. Se vuoi portarci tutti negli USA, a me va bene. Ma per ambientare una storia negli USA, devi conoscere gli States come le tue tasche, averli visti, respirati, vissuti. Altrimenti stai trapiantando uno stile italiano in un luogo che conosci poco (così traspare dal testo) decontestualizzando il tutto.
Questa è la differenza tra chi sa scrivere e chi non sa farlo: chi sa scrivere dà spazio al contesto, lo cura in ogni sua forma. Ed è per questo che non si sognerebbe mai di ambientare una storia in un contesto che non conosce. A meno che non si chiami Salgari, ma lì è vero stile. Ed è per pochi.
Sei stato troppo cattivo nella recensione, penserai, caro Visitatore. No, sono stato realista. E lo devo a chi lotta ogni giorno per rendere pubblico il suo talento, a chi mi ha inviato libri che ho lodato su questo blog, tanto mi avevano stupito per stile e trama. E se lodiamo tutti senza il coraggio di separare chi ha talento da chi non lo ha, allora ammettiamo di fatto che la scrittura non è un’arte, che è per tutti, e che chiunque può pubblicare senza che nessuno lo fermi.
E questo lo specifico a chiunque mi scriva per una recensione.
Romanzo non consigliato.
Se l’articolo ti è piaciuto, regala un like ai miei romanzi: