Maturavano lentamente,
nella luce dell’amore,
nuovi vincoli fra anima ed anima;
le parole vennero dopo.
Dopo anni di desiderio, finalmente sono riuscito a leggere Narciso e Boccadoro, di Herman Hesse.
Un libro spettacolare, sia per il pregevole stile utilizzato dall’autore, ricco di metafore da segnare a mo’ di aforismi, sia per la storia in sé, pregna di significati e filosofia.
Nel medioevo del Cattolicesimo imperante, Narciso e Boccadoro sono legati da un’amicizia, e un amore platonico, talmente intensi da travalicare gli anni e la distanza, e sono tra loro opposti nelle scelte di vita.
Narciso è dedito a una vita di studio e di ascesi, ma scorge nel giovane Boccadoro, suo scolaro, una vitalità che è ben lontana dalla vita monastica, e lo spingerà a ricercare un percorso diverso, basato sul piacere e sull’esplorazione. Non sai che una vita di libertinaggio può essere una delle vie più brevi per giungere ad una vita di santità?
Dirà Narciso: noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il mare e la terra. La nostra meta non è di trasformarci l’uno nell’altro, ma di conoscerci l’un l’altro ed imparare a vedere e a rispettare nell’altro ciò che egli è: il nostro opposto e il nostro complemento. (…) Tu sei un artista, io un pensatore. Tu dormi sul petto della madre, io veglio nel deserto
Hesse traccia in questa diade bipolare la ricchezza dell’animo umano, e aggiunge nel peregrinare di Boccadoro la ricerca della madre, la prima donna di ogni vita: Ma come vuoi morire un giorno, Narciso, se non hai una madre? Senza madre non si può amare. Senza madre non si può morire.
E qui emerge una contraddizione che sembra lacerare Hesse e i suoi personaggi: la contrapposizione tra il padre, visto come l’autorità, il dovere, la castrazione della vita, e la madre, l’immagine onirica ed infantile, perduta e rimossa, ma verso cui ognuno si muove, verso cui tutto tende, il punto in cui la vita e la morte si danno appuntamento e non c’è più distinzione tra le due. Morte e voluttà erano una cosa sola. La madre della vita si poteva chiamare amore o piacere, si poteva chiamare anche tomba o corruzione. La madre era Eva, era la fonte della felicità e la fonte della morte, generava eternamente, uccideva eternamente. […] Il lato paterno della vita, lo spirito, la volontà non erano la sua patria. Quella era la patria di Narciso.
Recalcati, in una sua rassegna, ha suddiviso gli autori in base alla loro ricerca del padre o della madre. A fronte di un Leopardi che guarda al padre, ecco un Hesse che insegue la madre perduta.
Cosa ci insegna Hesse? Che l’animo umano è troppo complesso per ridursi a un’unica via, che la duplicità di opposti ci abita, e non possiamo ridurci a un unico sentiero, perché tradiremmo la complessità stessa del nostro essere.
La complessità è la materia di cui siamo fatti, e la contraddizione che ci abita, che ci consente di usare l’istinto e la ragione, l’arte e il pensiero, l’emozione e la razionalità, il paterno e il materno, e tutti i poli opposti che abitano la nostra anima, è la vera ricchezza che portiamo al mondo.
Se l’articolo ti è piaciuto, regala un like ai miei romanzi: