sono andato a vedere L’estate addosso, di Gabriele Muccino, e vorrei condividere con te alcune riflessioni che mi ha ispirato.
E’ un film che segna una sorta di passo indietro rispetto alla filmografia del regista, che si era incentrata, dopo l’incontro con Will Smith, sulle tematiche dei padri e dei figli. In questo suo ultimo lavoro torna all’adolescenza, o meglio ai giovanissimi adulti, alla costante ricerca di sé, creando un viaggio, dall’altra parte del mondo, negli States, in cui hanno modo di cercare e trovare loro stessi.
Strano, a 49 anni, tornare proprio lì.
A questi elementi aggiunge l’incontro con il diverso, da un lato Maria, la bigotta, con i suoi pregiudizi, e dall’altro la coppia gay di Matt e Paul. Da un lato la cultura italiana, che tanto ammira Paul, dall’altro l’esame di realtà che Maria e Marco riportano ai due americani, su un Paese come il nostro che di limiti ne ha tanti. Da un lato il sogno americano, dall’altro le difficoltà di una coppia di giovani degli USA che vorrebbero seguire le loro personali ambizioni, ma si ritrovano incastrati in lavori che non amano, e in famiglie che non accettano la loro scelta d’amore.
Da questo incontro si crea una bolla, in cui i quattro ragazzi sperimentano una relazione che non ha nome. Non è amicizia e non è amore, è qualcosa di altro. Credevo fosse tre il numero perfetto, dirà Marco, ma non sono più così sicuro. Muccino riesce, ed è il pregio di questo film, a far vedere i fili che legano i quattro ragazzi, i fili di un’armonia altra, che l’essere umano è capace di creare.
E da qui la riflessione che vorrei portarti: siamo abituati a dare un nome a tutte le relazioni, a categorizzarle dentro classi che ci danno sicurezza. Esistono relazioni d’amore, d’amicizia, relazioni tra ex, relazioni genitoriali, familiari e via dicendo. E poi ci sono quelle relazioni, le più armoniche, che non hanno un nome. Legami che ci uniscono e che vorremmo riuscire a definire, ma non troviamo le parole, perché sono talmente indescrivibili, che le parole non le abbiamo mai trovate per dar loro un nome. E perché, se riuscissimo a descriverle, non ci farebbero vibrare così tanto.
E sono relazioni che ci fanno paura, tanto che le isoliamo in un viaggio, in un’esperienza altra, fuori dai soliti schemi, in una bolla, come la definirà Matt. Una bolla sospesa.
Il fine di questo post non è di consigliarti di vedere il film. Ma di ripensare a quelle relazioni e a quei legami a cui non sei riuscito a dare un nome. Quelle che hai definito solo e soltanto con un non o con un come: non era amore, non era amicizia… Eravamo come fratelli, eravamo come padre figlio.
E, superando le definizioni, di concentrarti con il pensiero solo sulle emozioni e sulle sensazioni che hanno fatto vibrare queste stesse relazioni. Perché, credimi, sono le relazioni fuori dagli schemi che più di ogni altre ci narrano di noi, perché ci fanno sentire nudi, senza abiti, senza difese. Puri. Reali. Diversi da come avevamo creduto di essere fino a quel momento.
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1 thought on “L’estate addosso: le relazioni senza nome”