C’era qualcuno che diceva sempre, perché questo tale è così preoccupato e ossessionato dalla guerra e ora dal 1933 forse è chiaro perché uno scrittore debba interessarsi al continuo, prepotente,criminale e sporco delitto che è la guerra.
(E. Hemingway)
recentemente ho letto Addio alle armi, di Ernest Hemingway,.
Ora, c’è da confessare che non sono un grande appassionato di Hemingway. Da giovane adorai Il vecchio e il mare, con cui Ernest vinse il Pulitzer, ma poi non lessi altro di lui fino ad oggi.
E c’è anche da confessare che ho faticato non poco a leggere Addio alle armi. Ho faticato perché spesso Hemingway usa uno stile ricco di coordinate (e c’era questo, e c’era quello, e poi accadde quell’altro…) che francamente non amo.
Ho faticato perché mi sono chiesto per tutta la lettura del libro di che pasta fosse fatto il protagonista (il tenente Henry), un americano tra le truppe italiane, un uomo che ama la pace, il bere, e il quieto vivere in un campo di guerra. Un uomo che rischia di morire senza azioni eroiche e si prende una medaglia al valore.
Ho faticato perché la protagonista femminile, Catherine (per gli amici Cat) di cui il tenente Henry si innamora, è una civetta ripetitiva e palesemente noiosa (Sei caro. Tutto a posto, caro? Sono incinta, caro. Sei sicuro, caro?) e noiosi sono pure i dialoghi tra i due, che spesso diventano persino stucchevoli.
Ma quando si capisce il senso del romanzo, quando si comprende quella che è la forza che ti sta trascinando pagina dopo pagina, seppur a fatica, inizi ad amare ancora una volta Hemingway. Si comprende che sta mettendo al centro delle sue riflessioni non solo la guerra e la morte, ma pure l’umanità e la società.
C’è la rappresentazione di una generazione perduta senza ideali, senza speranze e fede, rappresentata da personaggi come Rinaldi (ispirato a una persona reale, come pure molti altri personaggi e, d’altronde, come i fatti accaduti sono ispirati all’esperienza di guerra vissuta da Hemingway). E l’inutilità della guerra, specie dopo Caporetto, diventa talmente stridente da spingere il lettore a fuggire e a disertare con il protagonista. A remare con lui sulle acque di quel lago che lo porterà verso la non belligerante Svizzera. Stavo andando a dimenticare la guerra. Avevo fatto una pace separata.
Su quella barca, ho finalmente capito il protagonista. Ho compreso che quel tenente Henry che non inquadravo era effettivamente fuori luogo in un contesto di guerra, come la guerra è fuori luogo nel mondo. Che al boato di cannoni e di azioni eroiche è preferibile la noia di una convalescenza in un ospedale, di un dialogo ripetitivo e smielato, dell’ennesimo bicchiere di Cognac…
Ed è qui, dopo molte pagine, che ho creato finalmente il mio legame con Ernest e con il tenente Henry fino a soffrire con loro nel lungo travaglio che ucciderà Cat e suo figlio (curiosità poi: ho scoperto che mentre scriveva il libro, la moglie diede alla luce il suo secondo figlio… anche lì diciotto ore di travaglio e un cesareo. Chissà perché, nonostante la nascita del secondogenito, abbia scelto di far vivere al suo protagonista la situazione opposta, di morte?).
Questo libro fu messo al bando durante il fascismo per il ritratto che fece delle milizie italiane. Diventò uno degli idoli dell’americanismo antifascista.
Qualunque cosa abbia rappresentato nella storia è un inno alla pace in uno scenario di guerra. Condanna la vanagloria, e osanna la semplice straordinarietà del mondo.
Se l’articolo ti è piaciuto, regala un like ai miei romanzi: