Caro Visitatore,
Oggi ti parlo de La porta dei morti di Sibyl von der Schulenburg, inviatomi dalla casa editrice Il Prato per una recensione.
È stata una lettura piacevole e scorrevole, con una trama interessante, che richiama il passato etrusco della Toscana, riti e credenze antiche, e dona visibilità a una zona dell’Italia, che si propone come una cornice storica e culturale davvero accattivante per un romanzo.
L’unica pecca è che è una narrazione troppo ricca di dialoghi. In alcuni passaggi, l’autrice dona delle belle e suggestionanti descrizioni, in altri passaggi vi rinunzia, facendo perdere il lettore in botte e risposte che lo costringono di tanto in tanto a rileggere più volte i dialoghi per capire l’azione in atto.
Un’altra pecca è una continua ripetizione di azioni, che stonano un po’ la lettura:
1- La protagonista Lucia piange almeno una ventina di volte, in alcune occasioni non se ne capisce il motivo.
2- La cavalla Selva scaccia le gli insetti con la coda almeno quattro o cinque volte, sembra un’azione volta a riempire le righe dello scritto. Inutilmente.
3- Un’altra tendenza, a mio avviso fuori luogo, è quella di Valeria a normalizzare determinati comportamenti. Ripete di continuo, oltre a spiegazioni eccessivamente manualistiche, che dati comportamenti o reazioni sono “normali“. Ho letto lo splendido curriculum di Sibyl von der Schulenburg, notando che si occupa tanto di giurisprudenza quanto di psicologia, ed è forse in questa mistura la causa della normalizzazione di Valeria (la psicologa del romanzo).
Credo fermamente che il comportamento umano sia troppo ricco e variabile per essere definito normale o meno. Il punto zero della curva di Gauss, che pretende di definire i limiti della normalità assoluta, non esiste, e mai uno psicologo dovrebbe definire con estrema facilità ciò che è nella norma e ciò che non lo è.
Il sintomo è qualcosa di più ricco per appartenere a categorie date. Ma questa differenza di visioni non rovina il romanzo nella sua struttura.
Mi è piaciuta la libertà interpretativa che lascia l’autrice attraverso le parole della “problematica” ex scrittrice Giulia: lo scrittore deve saper raccontare la stessa storia da vari punti di vista, sarà il lettore a decidere a quale aderire. E sono d’accordo con Sibyl von der Schulenburg, avendo apprezzato la pluralità di punti di vista con cui mi ha fatto entrare nella storia.
Ritengo che chi lo acquisterà potrà usufruire di una lettura piacevole, che ha gli spunti di un giallo storico, in parte psicologico e paranormale, che desta la giusta curiosità per spingere il lettore a comprendere l’intreccio e ad arrivare fino alla fine della trama.
Per la scorrevolezza, il ritmo e la predilezione dei dialoghi, può essere consigliato soprattutto ad un pubblico adolescente.
Sinossi:
Sono l’amore e la pietà a spingere Giulia alla raccolta di tanti cani randagi o è qualcos’altro che la costringe in quel fenomeno che gli anglosassoni chiamano animal hoarding, collezionismo di animali? Se lo chiedono anche le autorità di Verdalmasso, un paese tra le colline toscane dove l’anziana svizzera risiede ormai da diverso tempo, in solitudine ai margini del paese. Il sindaco però non può dedicarsi solo al problema della cagnara in quanto si avvicina il solstizio d’estate e, la notte di San Giovanni, il paese è da sempre teatro di incontri particolari, visite di parenti scomparsi da tempo.
La psicologa, incaricata di sondare le capacità psichiche di Giulia è nativa di quei luoghi, diretta discendente degli etruschi che lasciarono tracce nelle tombe circostanti il paese e nelle tradizioni legate alle porte dei morti, passaggi ben noti agli antropologi, che hanno il potere di togliere la paura di morire.
Dopo Ti guardo e I cavalli soffrono in silenzio, l’autrice offre in questo psicoromanzo un messaggio d’amore e di speranza, una cerniera affettiva tra passato e futuro, un viaggio tra psicologia e parapsicologia.