sabato scorso sono andato a Celano, presso la sala consiliare del comune, per partecipare con il romanzo Alina, autobiografia di una schiava, all’evento Una targa per la vita, promosso dalle democratiche della provincia de L’Aquila. Parte del ricavato della vendita è andato in donazione al centro anti-violenza La casa delle donne di Sulmona.
L’obiettivo di Una targa per la vita è apporre nella maggioranza dei comuni della provincia abruzzese una targa che ricordi la presenza di un’aberrazione nella nostra società: la violenza contro le donne e il femminicidio.
Tanti sono stati gli interventi che si sono susseguiti nella sala consiliare del comune di Celano, tanti gli esponenti istituzionali, esponenti di forze politiche (nessuna esclusa, hanno partecipato tutte) e del mondo della magistratura e del sociale.
Ogni intervento aveva un fil rouge comune: è utile o no una targa per smuovere le istituzioni?
E la stessa questione mi ha interrogato per tutto l’incontro. La risposta razionale è stato un chiaro sì. In un luogo istituzionale come una sala consiliare, la presenza di una targa può ricordare agli eletti presenti e futuri, che c’è un problema da affrontare, che occorre non dimenticarlo e fare tutto il possibile per agire e soprattutto prevenire.
La risposta emotiva, come sempre, mi ha portato più lontano, a un magari non fosse più necessaria, a tal punto da diventare non uno strumento di azione, ma di mero ricordo.
Ti spiego meglio. Come saprai, Roma è piena di targhe che celebrano e ricordano vari eventi che hanno attraversato la storia di questa città. Targhe per costruzioni di templi, chiese, ma anche targhe che ricordano partigiani uccisi, rastrellamenti, soldati caduti nei due grandi conflitti mondiali, esponenti del risorgimento e via dicendo.
Ricordo in particolare una targa, che scoprii per caso a ridosso del ponte degli Angeli (Castel Sant’Angelo). Essa ricordava che nel 1200 l’acqua del Tevere aveva raggiunto un livello di esondazione che oggi sarebbe impensabile in quel particolare punto della città. La targa è quasi invisibile, ci si deve soffermare per notarla. Quando la trovai ero in compagnia di mia moglie, che ancora conosceva poco Roma.
Mi chiese se fosse davvero possibile, oggi, una tale esondazione. Ci siamo risposti di no, gli argini sono troppo alti. Quella targa celebra un mero ricordo, il progresso ha reso l’uomo più abile a prevenire eventi infausti (con le dovute eccezioni tipicamente italiane che ben conosciamo).
Quale associazione tra le due targhe?
Ecco, nel corso di tutta la manifestazione di apposizione della targa, ho pensato a un sogno: che quella stessa targa diventasse il ricordo di un misfatto lontano, da non dimenticare perché non si ripeta più, ma appartenente a un passato di inciviltà moderna, ormai superato.
Ho immaginato gli occhi di un’ipotetico nipote su di me, guardarmi con occhi interrogativi, e chiedermi con la stessa innocenza che c’era nei miei occhi quando guardavo dal basso verso l’alto mio nonno, che mi indicava le targhe dei rastrellamenti a Roma:
“Ma davvero all’epoca tua succedevano queste cose?”
All’epoca di mio nonno, era lecito picchiare una donna per “rieducarla”. Oggi la consideriamo un’aberrazione, ed è un passo avanti non indifferente. Ma l’obiettivo di domani è renderlo un ricordo, un qualcosa che ha avuto una fine, è cessato, perché l’uomo ha saputo andare avanti, evolversi ed evolvere la società.
Questo è il vero obiettivo per la vita: l’evoluzione della specie e della civiltà, che passa anche per le targhe.