qualche giorno fa sono andato a vedere Scusate se esisto, avevo voglia di leggerezza.
Posso dirmi di essermi ritrovato di fronte un film ambivalente, da un lato interessante dall’altro deludente. Guarda il film e probabilmente avrai come me la sensazione di due storie che si intrecciano, l’una di pregio, l’altra no.
La trama principale del film affronta assieme alla protagonista abruzzese, interpretata da Paola Cortellesi, la drammatica situazione dei giovani che scelgono di restare in Italia (e dei cervelli che decidono di ritornare nel loro Paese, lasciando la meritocrazia per la precarietà), le differenze tra uomo e donna in un mondo del lavoro dove il pregiudizio e il guadagno ha la meglio su ogni meritocrazia. Lo fa, ovviamente, con il giusto humor.
In questo barbaro mondo, l’unica soluzione è mentire, per far crollare ogni pregiudizio: ed ecco che l’architetto gay (no, non è Raoul Bova) si fingerà un sciupa-femmine per compiacere il capo narciso, la giovane incinta nasconderà la sua gravidanza per non essere licenziata, e la protagonista architetto Serena Bruno diventerà l’architetto Bruno Serena, grazie alla complicità un po’ impacciata di Francesco (Raoul Bova).
Perché si sa, un progetto ha la possibilità di passare se c’è la mano di un uomo dietro, non se fatto da una donna. E il progetto in questione è la rivalutazione del famoso Serpentone (chi vive a Roma lo conosce bene): un labirinto di appartamenti fatiscenti della zona Corviale. Naturalmente, nella migliore tradizione italiana, ci sarà chi penserà al benessere degli abitanti e chi, al contrario, tenterà di fare speculazione sulla loro pelle.
Sono gli uomini a prendersi ogni merito, dirà Lunetta Savino, noi donne stiamo alla regia, nascoste, è sempre stato così e sempre sarà così.
Questa la trama principale, che vale tutto il film, e che tra una risata e l’altra fa riflettere lo spettatore, rievocando il celebre Funny Money (1996).
Poi c’è la sottotrama, che coinvolge la vita di Francesco. Ed ecco presentarsi un’accozzaglia di luoghi comuni banalissimi sugli omosessuali, dipinti come persone che fanno ruotare la loro vita solo attorno al sesso. Ecco la pessima copia riuscita male di Mine vaganti (2010).
Cosa pretendevi, che mi scrivessi in faccia che sono gay? O magari dovrei andare in giro con le piume di struzzo?, dirà Francesco a inizio film, criticando i luoghi comuni sugli omosessuali, gli stessi che si palesano poi uno dietro l’altro. E, oltre al fatto che banalizzano un film che si propone proprio (almeno all’apparenza) di sfatare il pregiudizio e i loghi comuni italiani, ripresentano la solita minestra, che ormai non fa più ridere, non fa arrabbiare, riduce tutto a un compulsivo sbadiglio e a tanta perplessità.
Peccato, perché anche nella sottotrama si poteva giocare molto, sfatando il pregiudizio, ma temo ci si sia ritrovati con la voglia di inserire a tutti i costi un argomento che meriterebbe un film a parte e che, oltretutto, è già stato trattato da registi di peso come Ozpetek.
Il risultato è un’accozzaglia di luoghi comuni che vanno dal prostituto in rete, allo slave, per arrivare all’ever green effemminato. Banale.
Chiudete un occhio e tenete aperto quello che vi serve per vedere la trama principale.