so già che starai pensando che sono caduto anche io nel commercialissimo mercato dei libri di Dan Brown. Eppure, ti confesso che già da tempo nutro una passione per questo autore, e non per la “spettacolarità americana” dei suoi thriller.
La passione nasce per le metafore che riesce a tirare fuori, molte delle quali sembrano (checché ne pensino molti) quasi una riconciliazione tra scienza e fede (non è il caso di Inferno, forse, ma sicuramente di Angeli e demoni). Come quando il camerlengo risponde alla famosa domanda: perché Dio permette all’uomo di sbagliare? O quando ritiene che, se anche Dio avesse messo il dito per creare il Big bang, si potrebbe comunque parlare di creazione, seppur non avvenuta in sette giorni ma in migliaia di secoli.
Ho deciso di leggere anche Inferno, trovato al mitico prezzo di 5 euro in una libreria, e di inviarlo in regalo agli iscritti alla mia newsletter.
Bello regalare un inferno… 😉
Mi ricordo un lapsus della mia professoressa di italiano delle superiori, quando le chiedemmo se avremmo dovuto comprare la versione dell’Inferno della Divina Commedia consigliata da lei, o se bastasse una versione già in nostro possesso. Ci rispose:
“Beh, evitate di comprarla, anzi spero che non dobbiate farlo. Mi auguro e spero che tutti voi abbiate un inferno a casa! Cioè… non che vi auguri l’inferno… insomma, avere capito!”
Veniamo al romanzo. Nel classico stile di Dan Brown, nulla di ciò che si legge all’inizio è reale e nel corso della narrazione sarà ribaltato più volte, fino alle ultime pagine. Alcuni ribaltamenti sono un po’ troppo forzati, ma devo ammettere che è un romanzo che ti prende dall’inizio alla fine. Lo divori in pochi giorni. In primis perché Brown è capace di portarti tra le vie di Firenze, Venezia e Instanbul, con dovizia di particolari, in secundis perché è una continua scoperta di Dante.
Tutto ruota intorno alle domande: siamo in troppi su questo pianeta? E’ lecito fermare la razza umana, sacrificando i pochi per la sopravvivenza dei molti, se a queste condizioni siamo tutti condannati a restare senza risorse alimentari? Certe catastrofi, come la Peste Nera di fine medioevo, non sono state, pur nella loro drammaticità, un fattore che ha consentito all’uomo di sopravvivere e di accrescere la sua cultura (consentendo il Rinascimento)? Chi lavora per risolvere le malattie e allungare la vita, non sta danneggiando l’umanità piuttosto che aiutarla? La risposta, nello stile di Dan, è sorprendente.
So che ci sono degli errori nel romanzo, io ho riscontrato in rete questi, ma credo ce ne siano molti di più:
- Nel romanzo un ruolo centrale è giocato dalla maschera funebre di Dante Alighieri conservata a Palazzo Vecchio; lo stesso Langdon dice che essa è autentica e spiega persino il procedimento utilizzato per crearla, che comprenderebbe l’applicazione del gesso sul cadavere stesso del Poeta. In realtà nessuna delle maschere mortuarie di Dante conosciute è autentica, ma si tratta sempre di falsi o di sculture eseguite in epoca successiva alla data di morte del poeta. Quella di Palazzo Vecchio in particolare è stata realizzata nel 1915.
- Nel romanzo i protagonisti attraversano il corridoio Vasariano dal giardino di Boboli a palazzo Vecchio: sebbene con uno stratagemma riescano a eludere la sorveglianza e varcare la porta a Boboli, non si cita come essi facciano ad attraversare gli Uffizi e ad aprire le porte tra la galleria e palazzo Vecchio. Inoltre essi, nel palazzo, sbucano in una zona di uffici dell’amministrazione comunale e solo successivamente si recano nella zona del “museo”: in realtà il corridoio sbuca nel cuore del museo, negli appartamenti diEleonora di Toledo. I passaggi segreti attraverso palazzo Vecchio sono invece descritti con minuzia e per lo più corrispondenti alla realtà. Soltanto nella zona delle capriate delsalone dei Cinquecento si parla di una passerella per i visitatori che arriva a metà del soffitto: in realtà si ferma davanti alla prima capriata.
- Si dice che il museo della Casa di Dante è chiuso di lunedì (in realtà è aperto tutti i giorni) e che il battistero il lunedì non apre prima delle 13.00 (in realtà apre alle 11.15).
- Langdon descrive con dovizia molti particolari che nella Visione dell’Inferno di Botticelli sono quasi invisibili, se non del tutto assenti: le figure dei dannati, infatti, sono minuscole nell’originale, e molti dettagli enumerati dal professore (espressioni sofferenti, posizione di braccia e mani) sono indiscernibili. Inoltre Langdon fa riferimento all’uso massiccio dei colori seppia, nero e rosso: quest’ultimo colore in realtà è presente solo in una minima porzione del disegno (il fiume Flegetonte).
- Nel capitolo 15 si dice che i golosi sono fermi nei loro escrementi e che se ne cibano; è falso: questa è la descrizione della pena degli adulatori (seconda bolgia, ottavo cerchio); i golosi sono semisommersi dalla fanghiglia e si girano spessissimo.
In più ho rintracciato questo divertente articolo sui “fiorentini visti da Brown”. La fonte non è affezionata all’autore, ma l’articolo mi ha fatto morire dal ridere. 😉
Ad ogni modo, valutare errori storici, architettonici, artistici o in merito alla Divina Commedia, va al di là delle mie competenze. Ho visitato Firenze tre volte, ma sempre di fretta (mi è rimasta impressa la Sala dei Cinquecento, dove avevo assistito a una conferenza lo scorso anno), Venezia l’ho vista quattro volte, e ho amato la Divina Commedia al liceo, ma i ricordi non sono paragonabili a chi studia in modo approfondito il Sommo Poeta.
In più si è detto tanto su questo romanzo, al punto che la mia recensione non cambierebbe di molto aspettative, valutazioni e certezze in merito. Posso solo dire due cose:
La prima è che è un libro che vale la pena leggere per distrarsi, per godere della sua spettacolarità, e per perdersi nello stile accattivante di Dan Brown, già goduto nel Codice da Vinci e in Angeli e Demoni. E in più, perché è la terza volta che Dan elogia la storia e la cultura del nostro Paese e dei nostri antenati (seppur con qualche errore e qualche frecciatina), quindi un ringraziamento è doveroso.
La seconda è che mi hanno fatto morire le sue affermazioni sulla cultura letteraria degli autori cosiddetti emergenti e sulle nuove tecnologie.
In un passo Langdon dice: Devo smetterla di avere un atteggiamento così snob a favore dei libri rilegati in pelle (…) Gli e-book hanno davvero il loro perché.
Nel corso di una conferenza, Langdon chiede:
“Allora ditemi: c’è qualche scrittore tra noi questa sera?”
Si era alzato circa un terzo delle mani. Langdon aveva guardato sorpreso. “Uau” si era detto. “O questo è il pubblico più creativo del mondo, o il self publishing sta veramente decollando”
E ancora: “Bene, come voi autori certo sapete, non c’è nulla che uno scrittore gradisca di più dei ‘blurb’, quei commenti di apprezzamento da parte di una personalità famosa studiati per convincere la gente a comprare il vostro libro. I blurb esistevano anche nel medioevo e Dante ne raccolse parecchi.” (…) “Quanto dareste per avere questo sulla copertina del vostro libro?”
Simil uom né maggior non nacque mai. Michelangelo.
E infine la frecciata più gradita:
Faukman sospirò. «Okay, riformulerò la frase. Non abbiamo a disposizione jet privati per gli autori
di tomi sulla storia delle religioni. Se hai intenzione di scrivere Cinquanta sfumature di iconografia,
allora ne possiamo parlare.»
Da leggere solo per questo e poi te lo invierò in regalo tramite la prossima newsletter, iscriviti se non l’hai già fatto 😉