Caro Visitatore,
Oggi vado a presentarti Quella volta che sono morta di Cetta De Luca.
C’è stato un giorno che sono morta. Per 12 minuti. Oddio, io non lo so se sono stati 12 minuti. Me l’hanno detto. Io ero morta. Pare che ti cambi la vita quando sei morta. Eh, certo. Quanto meno non sei più viva. E io lo sono stata, non-viva, per 12 minuti. E non mi ricordo niente!
Comprato a 1 euro on line a una presentazione (sì, perché si possono vendere anche gli ebook durante una presentazione, leggi qui) mi è arrivato dopo poche ore.
Già il titolo era stato sufficiente a incuriosirmi. Se ci pensi è ambiguo al punto giusto: chi può raccontare quella volta che è morto? Ed è anche un titolo carico di ottimismo. Se puoi raccontarlo, stai bene 😉
Da notare lo stile, perché, siamo sinceri, Cetta ha dimostrato di essere una scrittrice camaleonte. È difficile trovare lo stesso stile nei suoi scritti. Forse quest’ultimo si avvicina a Io, l’ascensore e tu (se proprio vogliamo azzardare una somiglianza): ironico, leggero, con frasi brevi e spesso persino brevissime. (Psss: clicca sul link, è in lettura gratis 😀 )
La componente psicologica, basata sull’autoriflessione e sulle metafore, è centrale, ma Cetta non esce mai dal seminato delle sue competenze. Non si improvvisa, come talvolta accade a qualche autore tracotante, esperta di psicologia. Evita furbescamente di andare oltre ciò che sa, e la giusta misura credo debba far parte del bagaglio di ogni autore.
Lei predilige l’immagine, la metafora, per porsi le giuste domande, quelle che stimolano una riflessione nella terapia. Ho molto apprezzato l’immagine in cui la protagonista dice di aver percorso l’autostrada della sua vita al contrario, di credere di essere stata una freccia rossa e di essersi scoperta un rapido di segni trovati nella carrozzeria. Un percorso che voleva correre rapidamente, per opporsi alla psicanalista. Ma i ricordi hanno il loro ruolo. E infatti arriva inesorabile la domanda: e ora tutti questi ricordi della mia vita dove li metto? Si sente soffocare, non c è spazio nei cassetti. Spesso non facciamo spazio e ci rempiamo. Come usiamo i ricordi per non soffocarci ma per dare energia? Perché li percorriamo correndo, senza soffermarci? Se il presente sfugge e il futuro arriva troppo presto, perché far correre anche il passato a ritroso?
Ah, non ho specificato il motivo per cui la protagonista va in analisi: il suo ossessivo bisogno di farsi ipnotizzare per sapere cosa ha visto e sentito quando ha perso conoscenza per 12 minuti (quella volta che è morta, da qui il titolo).
E a proposito di ossessione e compulsione, mi ha fatto riflettere una frase. Ci riflettevo sul senso delle mie compulsioni. Ero sicura che si trattasse di questo, non di insicurezza. Perché, non sono forse legate le due cose (insicurezza e compulsione)?
E a proposito di citazioni, da non perdere questa: Chiedere aiuto. Io. È così che inizia l isolamento. Non sono gli altri che ti ci mettono. Ci vai da sola. Ti metti in castigo da sola per orgoglio, per dimostrare he sei brava e forte, o magari perché pensi che gli altri non siano all’altezza di aiutarti. (…) ti fai le domande, ti dai le risposte, nessun contraddittorio, nessuno che sta li a giudicare. Tranne te stessa. Che sei il peggior giudice.
Ha perfettamente ragione, e spesso ritrovo in molti questa tendenza.
Ti ho parlato di ironia, e come non considerare l’odio ossessivo per le righe di terza elementare, la causa, a dir di Cetta, della grafia orrenda alla medico? E pensare che io adoravo le righe minuscole della terza elementare… poi mi sono ritrovato con una grafia orrenda (uno a zero per Cetta). O ancora, la fissazione sui ghirigori che traccia sui post-it, stando al telefono. La vera ironia dell’autrice è nel saper saltare da un argomento all’altro mantenendo una coerenza di fondo.
E poi, finalmente, arriva l’ipnosi, con pagine molto introspettive, piena di immagini e metafore, con dei bei spunti di riflessione.
E descrive l’irreale. Non è facile, implicitamente si scende a patti con il lettore. Il compromesso è accettare che possa succedere di tutto. Una sola immagine può far venire fuori mille significati diversi. Quanti autori hanno tirato fuori, nell’irreale, storie in cui il lettore finiva per perdersi, a tal punto che per ritrovarsi chiudeva il libro?
Cetta, in fondo, è andata anche troppo cauta. Forse ha giocato poco col lettore, ha reso l’irreale un po’ scontato nei contorni.
E arrivano infine gli insight.
Forse sono questo i miei ghirogori sui post-it. Maglie fittissime che imprigionano le sensazioni che non posso controllare.
Senza volerlo (o sapendolo?) ci ha preso! La psicoterapia è proprio questo: allargare le maglie.
E ancora: Mollare è vivere leggeri, non tirare la corda, assaporare le emozioni senza aspettative. Così magari succede. Succede che la vita ti sorprende. Volesse il cielo di riuscirci, di scendere a patti con la vita lasciandole il compito di stupirci. Perdere, per l’appunto, quel controllo ossessivo su ciò che ci circonda.
E infine, l’insight più profondo (perdona il gioco di parole): nulla si perde quando è ben ancorato dentro di noi (…) mi sono data per scontata e sono morta. (…) Ho dovuto salvarmi. Recuperare la fiducia negli altri. E in me stessa. E restituirmi le ali. (…) Volare è accettare il rischio di vivere, senza avere il controllo. Solo la direzione.
Due cose mi hanno stupito. La prima è la capacità di usare i punti singoli quasi fossero puntini di sospensione (vedi, Cetta, che anche gli editing più duri insegnano qualcosa? A buon intenditor, poche parole, col punto finale!)
La seconda è una riflessione sul silenzio: Non esiste il silenzio. È sufficiente che ci sia un solo cuore che batte. Ne sentiamo il suono, il ritmo. A volte è frastruono. Meglio così, vuol dire che c’è vita. Non ci avevo mai pensato.
Avrai capito, Visitatore, che è un libro da leggere, perché imprevedibile, ironico, cinico ed elegante.
Ma, al di là dello stile camaleontico di cui ti ho accennato poco fa, ecco una tendenza che di Cetta si ritrova in ogni scritto: la sua presenza. Nella protagonista ho visto lei, c’è poco da fare, come già l’avevo vista in Nata in una casa di donne e in Colui che ritorna.
E qui la sfida che le lancio da lettore: esci da te stessa, portami lontano da te, scrivi qualcosa che non ti appartenga. Perdi il controllo, come ti sei ripromessa in questo ultimo scritto.
Cetta! Esci da questo libro! 😉
Come hai visto, caro Giovanni, con “Anna” ti ho accontentato, sono uscita dal libro. Ma sai bene che estraniarsi dalle storie, quando si tratta di narrativa non di genere, è un processo che richiede del tempo. Evidentemente il mio tempo è ora.
Assolutamente, Cetta, e sai che una risorsa che apprezzo di te è la capacità di inventarti e re-inventarti.
Appena esce la recensione ti avverto 😉