Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno
indietreggia davanti a noi. Ci è sfuggito allora, ma non importa: andremo
più in fretta domani, allungheremo ancora di più le braccia… e una bella
mattina…
Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa
nel passato.
recentemente ho (finalmente) letto il Grande Gatsby di Fitzgerald e anche questa volta potrò inviartelo in dono tramite newsletter. Quindi, se non sei ancora iscritto, ti stai perdendo un altro classico in regalo. 😉
Mi sono avvicinato a questo libro con un po’ di perplessità, non avendo un grande interesse per il contesto americano dei primi del novecento.
Eppure, mi ha appassionato.
In primis per lo stile, le descrizioni che Fitzgerald riesce a inserire in poche righe sono appassionanti: Nei suoi giardini azzurri, uomini e donne andavano e venivano come falene fra bisbigli, champagne e stelle (…) il frizzante profumo delle giunchiglie e quello spumeggiante del biancospino e dei fiori di prugna, e il pallido profumo dorato del caprifoglio.
I colori, gli odori e i sapori vengono accesi dai paesaggi, ma spenti nella descrizione dei personaggi, siano essi protagonisti o semplici comparse: un bambino italiano, grigio e smunto, stava disponendo alcuni petardi in un solco lungo le rotaie (…) un vecchio dai capelli grigi (…) un uomo sui trent’anni, biondo-paglia, massiccio, dalla bocca dura e dai modi altezzosi. Due occhi lucidi e arroganti (…) e via dicendo. Un contrasto niente male tra contesto e personaggi, che mi sembra dirla lunga sulla concezione di uomo dell’autore.
La narrazione viene affidata a Nick Carraway, vicino di Gatsby, una persona che mi è entrata in simpatia da subito: ho la tendenza a evitare i giudizi (…) l’evitare i giudizi è forma di speranza infinita (…) Ciascuno si sospetta dotato di almeno una delle otto virtù cardinali, e ecco la mia: sono una delle poche persone oneste che io abbia mai conosciute. (…) “Ho trentanni” dissi. “Ho cinque anni di troppo per mentire a me stesso e chiamarlo onore.” (Genio!)
E veniamo all’affascinante protagonista, Gatsby, affascinante perché reso multiforme, contraddittorio, e avvolto nel mistero da Fitzgerald. Vive in una villa maxi-lusso, da solo, una villa sempre piena di feste , di luci, di colori, di musica e di invitati. Fitzgerald fa una lista di tre-quattro pagine per citare tutti coloro che erano soliti presenziare alle feste del protagonista, talmente lunga che vien da sbattere la testa contro il muro dalla noia…
Partendo dal contorno di Gatsby, mi sono fatto l’idea di un uomo narciso, bisognoso della presenza della moltitudine per affermarsi, ma l’autore frega ben benino il lettore, mettendo in scena un protagonista che non è all’altezza della leggenda, con uno carme tradito dall’incertezza, dal nervosismo, e dalla goffaggine. E presto si scopre che tutto il baraccone di feste, luci e colori messo su da Gatsby non è altro che un modo per impressionare la donna da sempre amata (nonché già sposata): Daisy. Un circo che crolla al primo disappunto di lei per queste feste, ed ecco che la villa si chiude in un silenzio agghiacciante.
Cosa distanzia Daisy (e il marito antipatico Tom) da Gatsby? Esattamente la distanza incolmabile che esisteva nei primi del novecento tra i nati ricchi e i nuovi ricchi, i self-made man, coloro che avevano approfittato delle enormi possibilità dell’america per guadagnare (in modo lecito o non lecito, come si vedrà con Gatsby). Nascere ricchi, non è cosa da poco, è l’unico lusso che un self-made man non può acquistare, e i nati ricchi lo sanno bene, nel loro snobismo aristocratico, nel loro spirito di casta.
E che linearità tra il senso di rivalsa di Gatsby e quello del suo autore. hO ritrovato in rete dei suoi scritti in cui citava l’unica chiave per entrare a far parte del club esclusivo dei nati ricchi: il successo. Qualunque cosa pur di piacere, scriverà Fritzgerald alla moglie, pur di essere rassicurato che non ero solo un uomo con un po’ più di genio ma che ero un uomo di grande successo.
Qualunque cosa pur di piacere, mi ricorda qualche emergente… ma andiamo oltre. 😀
Una serie di eventi, che non sto qui a narrarti, chiuderanno un tragico sipario sulla vita di Gatsby. L’uomo che riempiva la sua villa di sfarzo e di persone, avrà un misero funerale, circondato da poche persone, praticamente solo, con grande stupore e rabbia di Nick.
La sua rivalsa sarà nelle parole di Carraway/Fritzgerald, che lo riscatteranno sottolineando la sua differenza con Daisy e Tom: Erano gente sbadata, Daisy e Tom sfracellavano cose e oggetti e poi si ritiravano nel loro denaro e nella loro ampia sbadataggine o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto (…) Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. Ci è sfuggito allora, ma non importa: andremo più in fretta domani, allungheremo ancora di più le braccia.
Paesaggio/uomo, West/Est, self-made man/nati ricchi: i contrasti che questo libro dipinge in maniera impeccabile.
Martedì prossimo nella tua mail, buona lettura 😉
Ciao Gigibì, sono un visitatore come tanti che vago per siti…come tenti. Come te, sono appassionato alla letteratura del primo NOvecento e alla straordinaria energia avanguardistica che in quel periodo trapassava come una scarica elettrica il mondo dell’arte . Non ho letto nulla di FSF e forse mai leggerò nulla. Però mi chiedevo se aldilà della presentazione che ce ne dai potessi aggiungere delle motivazioni di confronto più precise. Se dovessi vendere questo libro e proporlo, così come farebbe un editore, dovresti sforzarti di presentarlo attraverso criteri meno soggettivi. Ce la fai? ne hai voglia? Ritieni sia corretto elevare una recensione al rango di tesi di bellezza e non di sola ‘ipotesi ‘ ?
Ciao Gigibì, sono un visitatore come tanti che vago per siti…come tenti. Come te, sono appassionato alla letteratura del primo NOvecento e alla straordinaria energia avanguardistica che in quel periodo trapassava come una scarica elettrica il mondo dell’arte . Non ho letto nulla di FSF e forse mai leggerò nulla. Però mi chiedevo se aldilà della presentazione che ce ne dai potessi aggiungere delle motivazioni di confronto più precise. Se dovessi vendere questo libro e proporlo, così come farebbe un editore, dovresti sforzarti di presentarlo attraverso criteri meno soggettivi. Ce la fai? ne hai voglia? Ritieni sia corretto elevare una recensione al rango di tesi di bellezza e non di sola ‘ipotesi ‘ ?
Salve Fabio,
grazie per il commento e per la tua domanda.
Personalmente non lo farei, in primis perché sono semplicemente un lettore e non editore. Quindi la scelta dipende dalla finalità che mi sono posto in questo sito: il mio fine non è vendere ma bensì creare un passaparola e condividere. Se mi si prospettasse la possibilità di scrivere su altri siti, in modo più oggettivo, e con un fine di vendita, allora farei scelte stilistiche molto diverse.
Scrivere oggettivamente non è al di fuori delle mie possibilità, anzi, lo faccio per altri contesti e situazioni più professionali, che esulano da questo sito.
Da qui la scelta di rimanere sul soggettivo, perché un lettore da sempre un parere che è soggettivo e mai oggettivo. Se acquisto un libro, che sia di un contemporaneo o, come nel caso presente, di un autore passato, esprimo un’opinione che è sempre personale. Ci possono essere migliaia di persone che la pensano diversamente da me, ed ecco il motivo per cui esprimo un’idea che resta volutamente sul personale.
Per rispondere alla tua domanda, no, non credo si possa arrivare a una tesi di bellezza assoluta, specie nell’arte, laddove qualunque prodotto dell’arte è passibile di critica ed è dunque relativa alla percezione soggettiva.
Naturalmente, anche questa mia opinione è passibile di critica, e sono curioso di sapere cosa ne pensi in merito.
per il vero la penso in maniera piuttosto precisa. Prima di risponderti però consentimi due piccole domande:
– ritieni che l’opinabilità di un arbitro di calcio sia un elemento decisivo e insostituibile? Tieni conto che fra i più alti dirigenti fifa c’è chi sostiene ancora a gran voce che il regolamento va ‘interpretato’ non applicato.
ed ancora:
– in riferimento a una cura ritieni più affidabile un esame diagnostico o il parere di uno specialista d’esperienza?
Confucio sosteneva che di tre persone che ti passano accanto, una potrebbe essere il tuo maestro. Io credo che il rapporto sia sensibilmente più alto, essendo ciascuno di noi portatore di esperienze, contesti e formazioni diverse. Vediamo quanto tu sarai maestro per me oggi.
Non mi piace parlare in termini assoluti, cosa che leggo nelle tue domande out out.
L’opinabilità dell’arbitro è importante come il regolamento. Entrambi sono fallibili, l’opinione è soggetta a limiti vari (percezione, attenzione, pregiudizio ecc). Un regolamento è troppo rigido per essere applicato ugualmente in ogni situazione. Prendi la legge e i giudici. Una legge vecchia quanto l’uomo esorta a non rubare. La applicheresti allo stesso modo per chi ruba denaro pubblico o per chi ruba per sfamare suo figlio, perché disoccupato e senza alcun sussidio? O ancora, applicheresti allo stesso modo la legge per chi va a prostitute? Un uomo con moglie e figli è simile a un portatore di handicap che non ha modo di vivere la sua affettività e sessualità? Se enteambi vanno a prostitute li multeresti allo stesso modo?
Sulla diagnostica: il criterio scientifico non esclude il parere esperto ed entrambi hanno limiti. L’ultimo manuale diagnostico dei disturbi mentali afferma che basta un’abbuffata per definire una persona bulimica (prima erano più abbuffate in sei mesi). Ci fidiamo del criterio oggettivo o in modo critico sosteniamo che, forse, c’è la tendenza delle case farmaceutiche a medicalizzare il più possibile?
Ancora, sull’ansia: ci fidiamo di uno strumento che ci dice solo se l’ansia è presente o meno o pure del parere di un esperto che ci dice che valore adattativo ha l’ansia per quella persona in quel momento di vita?
In sintesi, mi sembra che la nostra discussione stia sfociando nella dicotomia oggettivo-soggettivo. A me piace pensare che più che una dicotomia di fattori mutualmente escludentesi, siano posizioni di un continuum. Non ci possiamo arroccare sull’oggettività di regolamenti asettici e di criteri diagnostici perché esiste la variabilità umana. Non possiamo arroccarci sulla soggettività dell’arbitro o dell’esperto perché esiste la fallibilità umana. Possiamo passare però dall’out out all’et et, scegliendo ed essendo consapevoli della nostra posizione sul continuum.
Credendo che l’arte sia espressione, preferisco andare verso il soggettivo più che pormi nel criterio oggettivo tout court.
L’urlo di Munch è oggettivamente un bel quadro? Ho i miei dubbi. Soggettivamente lo è perché esprime il delirio psicotico di Munch e per la mia formazione psi ha un forte valore espressivo.
Cordiale e paziente Giovanni è solo per esaudire la tua curiosità che cercherò di elaborare una replica. Data la complessità del tema sarà però difficile mantenersi ligi ai doveri di netiquette, e di sintesi. In pratica si tratta di porre le basi per una discussione costruttiva riguardo il problema della selezione critica dei testi di narrativa, dove per ‘critica’ si intende la possibilità di attenersi a una criterialità condivisa e quindi non suscettibile di interpretazione.
È una discussione che mi entusiasma e che penso possa farmi apprendere molto. Specie se partiamo da premesse diverse.
Ho una differenza da te, probabilmente, se hai avuto modo di leggere la mia biografia ti sarà sembrata palese. Sono uno psicologo. L’interpretazione fa parte della mia professione, tanto quanto la criterialità, laddove i criteri sono norme e deviazioni standard. Ma sono portato a credere che la norma, intesa come punto zero di normalità assoluta, non esista. Sia solo una media di tante variabilità.
Questa differenza tra noi la considero una ricchezza che può farmi apprendere un punto di vista diverso dal mio.
Detto ciò, ti chiedo: l’arte può avere una norma? Ci sono criteri aprioristici per stabilire cosa è bello e cosa no? Possono essere costruiti? E se sì, da che dipendono?
Non sono domande retoriche, ci sto riflettendo anche io. 🙂
Accipicchia che belle premesse! comincerei col dirti che probabilmente siamo sostenitori dello stesso vessillo dal momento che sono un fermo promotore del principio di variabilità, non solo ‘umano’ ma biologico, direi. Consentimi poi di svestirmi di quel carisma (di potenziale maestro) che non sento di meritare nemmeno se il sarto in questione si chiama Confucio, peraltro a me quasi totalmente sconosciuto ; ma andiamo con ordine:
– no! questo non è uno scontro dialettico, anch’io penso che esista un continuum fra le due categorie che però devono essere relegate al rispettivo campo d’appartenenza per esser incluse nel reale . è infatti attraverso la misura che si stabilisce il dialogo, o se vuoi, il confronto, dal quale principia ogni procedimento discriminativo. Il diverso è dunque concepibile solo attraverso l’apporto comunicativo codificato per simboli (e come sai il simbolo non può essere interpretato. ) la famosa dialettica/relazione). detto ciò posso dirti che vengo dal mondo della sanità e perciò , stavolta con un po’ di pedanteria, posso dire che il potere della farmaceutica fonda tutti i suoi profitti (per un buon settanta per cento) sullo stravolgimento dei criteri di ricerca scientifica e cioè sulla concezione arbitraria che si è inteso dare a determinati presupposti di indagine. Perchè? per favorire il mercato, ovvio. io vengo da un mondo, la neuroriabilitazione, dove l’interpretabilità dei ritrovati curativi è possente baluardo difensivo dell’autorità baronale. Non esiste ricerca scientifica nel settore, ma solo un confusionario carrozzone propagandistico di cure o terapie che . per farla breve – non hanno mai apportato alcun risultato apprezzabile sulla pelle dei poveri malati. Tanto per capirci, uno strumento che misura l’ansia non esiste, come non esiste esame per determinare se tu cammini meglio o peggio di me , tuttavia…
come per l’appunto dicevamo: ove non esistono regole l’autorità impianta le proprie. E talvolta sradica quelle esistenti per meglio affrancare i propri dettami, scientifici, stilistici, artistici e via dicendo. Ho apprezzato molto colui che ha detto (e capito) che warhol ha contribuito a distruggere il senso del bello. una lezione che mi ha fatto riflettere. Perchè vedi, il valore aggiunto di questa conversazione è dato dal fatto che entrambi stiamo contestualmente elaborando nuove categorie, nuove idee intorno a contenuti su cui la rete non m’è parso dicesse niente di rilevante.
Per quanto riguarda la media delle variabilità, consentimi di precisare che la media armonica nel mondo della natura, del variabile per antonomasia, non esiste!. E’ un concetto decisamente stravolto dalla partizione matematico-meccanicista, del tutto inadatta a rappresentare il fattore fisico-biofisico (wh, ae, nb, yp – sono le iniziali di tutti i premi nobel per la scienza che hanno sostenuto a gran voce questa semplice tesi). Vedi come combaciano le nostre valutaz.? Ecco perchè ti ho parlato di falsi presupposti di ricerca scientifica, ma tu col tuo commento mi hai oppotunamente e adeguatmnt aniticipato. Sì, credo che ora siamo perfettamente allineati e possiamo affrontare questo scambio con maggior serenità
la differenza fra noi è che tu sei un bravo psicologo che crede ancora nel suo lavoro, io ne sono fuori, la mia professionalità è fuffa, per questo posso rivisitarla e denigrarla a mio piacimento. Vorrei però che il fulcro delle nostre analisi ruotasse preferenzialmente sulla questione valutazione editoriale o al massimo artistica. lasciamo le nostre rispettive esperienze professionali a margine, sennò chissà dove andiamo a parare.
Ottimo sapere che le premesse coincidano.
Allora, partiamo.
La domanda che mi hai stimolato è questa: è possibile valutare l’arte utilizzando criteri oggettivi?
E se sì, sono aprioristici? Mutano a seconda dei gruppi e delle culture?
E se utilizziamo il criterio oggettivo, che spazio lasciamo alla soggettività?
E’ un discorso che mi interessa molto, non lo isolerei solo alla narrativa, ma all’arte in tutte le sue forme, se ci riusciamo.
Sono d’accordo di lasciare da parte le professionalità, almeno in questo nostro scambio, ma era doveroso in qualche modo conoscerci, capire da che premesse partivamo 🙂
Preferirei rispondere alle tue ultime in maniera didascalica, poi magari approfondiremo meglio. Lascio per il momento in sospeso la mia opinione sull’Urlo di Munch.
– L’obiettività di un giudizio letterario non può considerarsi come una formula matematica e fornire una serie di numeri. Possiamo però dire che tutte le opere, in quanto tali, devono saper scandagliare determinati aspetti della realtà. Facendo tesoro di poche competenze tecniche prese a prestito dalla pittura direi che i molteplici aspetti del reale, possano intendersi anche e soprattutto come narrazione dell’io in relazione al trascendente, al sentimento e via dicendo. C’è lo stile e c’è la metafora, vi sono insomma migliaia di sfaccettature che provengono dalle infinite cmbnz di pochi aspetti fondamentali dell’esistenza. Come, ad esempio, i tre colori primari sviluppano l’infinita gamma cromatica presenti nel reale (rappresentazione del) e nell’immaginario. Puoi esprimerti quindi utilizzando tutti i colori della tua tavolozza ma sappi che essi provengono da soli tre elementi base. Tanto per cominciare dovremmo allora sforzarci di individuare tre livelli ‘primari’ di contenuti anche per la narrativa.
– nel canto, la vocalità di un interprete è considerata di gran livello quando le frequenze toccano i limiti della scala acuti-bassi. Hai presente mina? Esistono voci molto meno limpide, che producono effetti straordinari, nessuno lo nega, ma una vocalità capace di esprimersi in tal modo, se esiste una coerenza selettiva non potrà mai essere affossata dalla critica ufficiale. E non sembra che la personalità, le capacità interpretative dell’artista subiscano limiti espressivi nel solo riconoscimento di questa lapalissiana verità . Su un piano parallelo possiamo considerare la pittura di v.van gogh. In lui l’utilizzo dei colori è massiccio, tanto intenso da farlo sistematicamente stroncare dalla critica dei baroni dell’acadèmie royale etc..etc,,. Questi due esempi pongono un primo, giusto limite sulla funzione della valutazione selettiva di un’opera. In questo ti do pienamente ragione: non si possono utilizzare eventuali criteri per definire piani diversi di eccellenza. Questo non si può fare! Tuttavia attraverso una criterialità condivisa si può evitare di perdere per strada gli elementi che palesano enormi ed indubbie qualità. In questo fattore vedo un grande potenziale. L’importante è individuare ciò che esprime un buon gradiente qualitativo , definire poi una scala numerica di valori , questo no! posso confermare – come tu dici – che non si può fare. Intanto però cominciamo nell’opera di cernita, cominciamo a salvaguardare ciò che non può essere relegato nel dimenticatoio ideologico. Van gogh ( e molti altri) giungono a noi grazie alla competenza e al coraggio di chi ha saputo imporre le proprie tesi sull’arroganza del metodo accademico. Non si può certo dire che la ronda di notte (rembrandt) sia migliore della ragazza con l’orecchino (wermeer); ricevendo uno di questi capolavori in busta chiusa dovremmo perciò cercare di trovare il modo di non rispedirli al mittente confusi fra le croste di mille altri autori sconosciuti che non palesano analoghe qualità nella conoscenza della materia e nella capacità di saperla includere in un progetto espressivo. Per il momento lascerei fuori il fattore innovativo, quello concettuale da cui scaturiscono le nuove ricerche e le nuove idee avanguardistiche). Ma anche qui si può cominciare a sviluppare un’ analisi onesta sull’orientamento che esse hanno determinato nelle società e nella cultura. Cubismo, espressionismo, impressionismo, futurismo, vorticismo, hanno addirittura preceduto le ricerche scientifiche, talvolta le hanno perfino messe in ridicolo (nel caso degli studi ottici di newton). Un manipolo di insulsi pittori ha sconfessato uno scienziato, ti rendi conto? Esistono quindi riferimenti precisi , univoci, tipici di ogni corso di rinnovamento. Ecco anche qui si potrebbe lavorare per la proposta/studio di ulteriori indirizzi parametrali. Bueno, ora stacco. non so se son stato chiaro.
C’è una cosa che però non capisco.
Il successo di Van Gogh e di altri, se dipende da “la competenza e il coraggio di chi ha saputo imporre le proprie tesi sull’arroganza del metodo accademico”, non è forse partito da chi ha scelto criteri altri? E nello scegliere criteri altri, non si è comunque partiti da una soggettività?
E sono molto incuriosito dai criteri con cui valuteresti un libro: vediamoli assieme. Qual è l criterio più importante da cui partiresti?
Stimolata da Fabio e in risposta a un suo commento sul mio blog provo a fare un volo pindarico e, come ogni donna sa fare, ricongiungere il tutto. L’arte (in senso lato) è valutabile oggettivamente? No, e l’ho detto anche sul mio blog. La valutazione è sempre soggettiva, e lo dimostra, in editoria nello specifico, il gran numero di editori che ci sono: le valutazioni sono sempre personali, così come le scelte di collana e catalogo dimostrano. Le regole, le norme, la sintassi, la grammatica, la forma, sono solo i limiti oggettivamente riconosciuti entro i quali possiamo valutare la “forma” di un testo. I contenuti sono altro. Lo stesso vale nelle altre arti, così come è vero che ciò che non si apprezza in un paese, in una cultura, è magari apprezzabilissimo in altri luoghi.
Detto questo cosa accade quando presentiamo un manoscritto a un editore? Accade che incontriamo un lettore (o più lettori) che ha un gusto, che fa scelte di lettura ma che fa anche scelte commerciali. Non dimentichiamo che un editore è un’azienda che deve fatturare, quindi questa variabile non indifferente guiderà le sue scelte, alla fine. Sono pochissimi gli editori che lavorano ancora guidati dalla passione e solo da quella e, in ogni caso, con la mole di testi che ogni giorno vengono inviati al loro cospetto, una scelta la dovranno fare comunque.
Ecco perché il fenomeno dell’autopubblicazione è così fiorente. Io scrivo, io mi valuto, mi correggo, mi giudico, mi pubblico. Nessun confronto.
Eppure resto dell’idea che quei no ricevuti dopo un confronto con un editore onesto dovrebbero essere conservati come un bene prezioso. Poi possiamo anche decidere che il confronto non è stato soddisfacente e continuare per la nostra strada, ma è da questi scambi che ci risparmiamo tanta fuffa e, magari, riusciamo a leggere qualcosa di valore.
Anche qui si potrebbe ragionare, Cetta. Qual è un editore che riesce a valutare oggettivamente, senza pensare al soldo?
Mi spiego: un’opera molto innovativa, bella, ma con poche possibilità di vendita, ha possibilità di superare una valutazione?
Giovanni mi chiedi troppo. La storia ci dice che gli impressionisti mossero feroci contestazioni ai metodi dell’Acadèmie, stop. Non ti so dire quali argomenti utilizzarono. Però dubito che ponessero semplicemente un parere alternativo a quello ufficiale e quindi contrapponendo un registro di ipotesi inconfermabili. Il metodo di quegli artisti era un altro, comprendeva la fusione con il sapere, adoperavano il metodo scientifico. Lì si racchiudeva il genio e l’intuizione sulle dottrine della mutazione sul condiz cromatico e via dicendo . Si parla di un movimento che ha ridicolizzato le basi teoriche delle teorie scientifiche dell’epoca riguardo l’ottica e la rifrazione. Si parla degli impressionisti come di scienziati empirici, grandi studiosi (non opinionisti) di fenomeni legati alla luce e ai condizionamenti percettivi e una gran quantità di teorie riconosciute a posteriori come valide. Se sostenevano van gogh suppongo disponessero di motivaz piuttosto forti. Non ho ulteriori info, purtroppo.
Una cosa vorrei chiederla io però. Vi ho messo a disposizione una buona parte del materiale raccolto in rete sull’argomento, più o meno con la stessa strategia adoperata in quest’occasione cioè mettendo in comunicaz siti di conoscenti (nel vostro caso mi sono attenuto al team della spectre). Non si tratta dunque di farina del mio sacco. Mi servirebbe ora qualche parolina in più da parte vostra, ovvero: cosa proponete per risalire a quegli elementi di confronto primari di cui si è detto? Ora urge partorire nuove proposte, ammesso che abbiate condiviso il resto, tutto il resto, naturalmente.
Giovanni, riguardo la domanda che hai posto a Cetta vorrei dire che in questa sede, al pari di altri, vorremmo cercare proprio una serie di motivazioni da contrapporre al solito de gustibus adoperato dai grandi editori. Cetta mi sembra abbia detto, e giustamente, che essi si rifanno alle valutazioni (personali) dei loro editor senza alcun criterio selettivo appena appena condivisibile, non dico quindi ‘oggettivo’. Non vi racconto la mia esperienza personale, potreste rimanerci male. Sembrate un po’ ingenui. Non sembrate aver consapevolezza che la posta in gioco è molto più alta del semplice profitto. E’ in gioco il controllo delle idee, il controllo delle fondamenta ideologiche della stessa cultura. Le innovazioni disturbano, potrebbero alterare equilibri consolidati. Ma questa è un’altra storia…
La risposta secca Giovanni è NO. Ma l’ho anche detto prima. Un editore, anche se usa la sua passione per valutare, poi deve fare i conti col mercato e la borsa. Ha un’azienda e le sue regole sono ferree, non passionali. Ho anche detto però che di editori ce ne sono tantissimi e sono convinta che ognuno abbia la sua fetta/nicchia/sezione di mercato per cui anche quel libro particolare possa essere pubblicato. Ma stiamo parlando del sesso degli angeli… chi decide che un’opera sia molto innovativa e bella? Secondo quale criterio qualcuno si può arrogare il diritto di deciderlo? Il bello non è un valore assoluto e l’innovazione è vecchia il giorno dopo. Tutto resta molto soggettivo… 😉
Fabio, sul controllo delle idee, sarò ingenuo, ma ho qualche perplessità. Nell’era di internet e dell’autopubblicazione e con la presenza di tantissime (troppe) CE, mi sembra difficile che un’idea possa essere controllata. Ma naturalmente, se la pensi così, avrai avuto le tue esperienze in tal senso.
Ti posso dire quali sono i criteri con cui valuto un libro. La mia perplessità è: sono tutti condivisibili o sono personali, i miei criteri, passibili di critica?
– grammatica: per me è fondamentale.
– capacità dell’autore (e dell’editore) di attrarmi verso il testo: quarta di copertina, copertina ecc.
– metafore: più ce ne sono, più sono contento. A queste aggiungo le immagini che i giochi di parole possono creare. Ho letto libri che raccontavano seccamente i fatti, senza mai giocare con le parole. Prendiamo Gatsby: Fritzgerald offre delle descrizioni stupende, giocando con parole, suoni, colori, sapori.
– Emozioni: tra i contemporanei noto la presenza di una forte alessitimia, un’incapacità a esprimere le proprie emozioni, e quelle dei personaggi. Trovi un libro che ti vuol descrivere la fine del mondo, magari, con un personaggio che resta a conti fatti “un po’ turbato dall’accaduto”, quando nel qui ed ora del narrato dovrebbe avere un vero e proprio attacco di panico.
(Ecco, prendiamo le emozioni: per me sono un criterio principe, immancabile in un testo di narrativa. Ma ho sempre pensato che fosse un mio criterio, soggettivo, data anche la formazione che ho. E’ possibile farlo diventare criterio condiviso?)
– Bilanciamento tra azione e descrizione: sono per chi sa dosare le due cose, senza eccedere nell’una o nell’altra.
– Capacità dell’autore di farmi porre degli interrogativi, non diretti, ma indirettamente, attraverso ciò che narra.
Per ora mi fermo qui, la lista non si è esaurita, ma sono curioso di sapere cosa ne pensiate, specie sulle emozioni.
gli spunti sono buoni, Gigibì. meritavano miglior sollecitudine da parte mia. Cercherò di migliorare i tempi, lo prometto.
La padronanza della lingua è fondamentale, siamo d’accordo, ma non può reggere da sola il peso di un giudizio critico con la maiuscola (anche se io ho usato il minuscolo). Consideriamolo un primo, utile tassello ma andiamo avanti. sull’impatto del fattore emozionalità ritengo siano tutti d’accordo. Le scuole di pnl confermano ciò che tu dici, però è troppo legato a condizionamenti esterni ed interiori. Difficile assediarli entro un criterio discriminativo, per il momento lo mettiamo da parte nella speranza venga tirato a rimorchio dalla efficacia degli altri parametri.
Sull’ impianto metaforico invece penso si possa trovare un ancoraggio decisivo. Un massiccio uso di metafore contraddistingue gran parte della scrittura dei grandi autori del passato. Indicherei però, sul medesimo binario, anche la capacità di introdurre robuste rappresentazioni simboliche. Ho seguito la tua video rcnsn di Darkwing e immediatamente mi sono posto una domanda: quella spada nasconde un simbolo? Come strumento fine a sè risulterebbe un tantino banale e , come fai notare anche tu, sobillerebbe sconcertanti analogie con l’anello di tolkien. tuttavia esso potrebbe introdurre un elemento simbolico amalgamato allo sviluppo del racconto e ciò, a mio parere ne muterebbe la qualità. L’uso dei simboli e, di conseguenza, l’abilità di cementarli a un messaggio (etico o altro) può rappresentare un segno distintivo molto importante, a patto però che la simbologia introdotta sia coerente a un preciso intento comunicativo. Non penso che esistano attualmente molti autori in grado di cimentarsi in tal senso. Se sbaglio correggetemi, ne sarò felice. Si potrebbe aggiungere altro ma per ora rilancio la palla.
Sui tempi non preoccuparti, Fabio, anche io purtroppo apparirò lento, ma gli impegni sono tanti.
In più ho l’handicap di dover approvare i post per renderli visibili, e nel farlo devo eliminare tanto di quello spam che non hai idea.
Quindi, rispondiamo con i nostri tempi, quando e se possiamo. Internet ha il pregio che non dimentica 🙂
Sulla padronanza della lingua: sì, per me è uno dei criteri, non quello centrale. Però fermiamoci un attimo: perché io l’ho un poco esaltato e tu no? Forse perché, stiamo parlando dei libri come Gatsby, come “Una stanza tutta per me” (Woolf), classici insomma. Dai per scontato che siano ben scritti, o comunque scritti decentemente. Oggi però esiste l’autopubblicazione e case editrice che non fanno un corretto editing e di deliri grammaticali e sintattici ne ho visti molti. Non parlo solo di refusi, ma di consecutio temporum, termini errati ecc. A questo livello, diventa importante che, quantomeno, sia ben scritto. Ovvio, potremmo pensare che sia la base, il punto zero da cui partire: se non è ben scritto, ti posso scartare a priori, perché difficilmente mi arriverai all’impianto metaforico che entrambi apprezziamo.
Sulla metafora, sono contento che lo consideriamo entrambi un criterio efficace per valutare un testo di narrativa. Io però non ridurrei solo alla metafora, ma anche alla capacità dell’autore di giocare con le parole, dimostrando la sua padronanza. i faccio un esempio pratico: a me pace molto un autore contemporaneo Pablo T. Questa frase è sua: “da soli siamo frecce sparse in cerca di direzione, insieme noi siamo la direzione.” Non fermiamoci al mero contenuto, andiamo oltre: c’è la metafora, ma c’è anche il gioco di parole. Ecco, per me sono entrambi un valore aggiunto. O, altro esempio, chi mi parla dell’errare nella sua doppia accezione: sbagliare, ma anche girovagare. E solo chi girovaga, si sperimenta, ha la possibilità di errare, colorando questa parola di un significato più positivo di quello attribuito dal senso comune. Questo è saper giocare con le parole: dimostrare di avere un ricco vocabolario di saper fare e proporre una metariflessione sui termini, sul loro significato più profondo.
Ora sono curioso di conoscere altri criteri che ti sono propri per valutare un testo di narrativa. E potremmo addirittura fare un esperimento: leggere un testo classico o contemporaneo che entrambi non abbiamo ancora letto e proporre una valutazione, sulla base dei criteri che qui stiamo co-costruendo.
Ciao Gigibì , Fabio scrive”. E’ in gioco il controllo delle idee, il controllo delle fondamenta ideologiche della stessa cultura.” Penso che la sua precisazione sul valore politico e critico dell’arte sia importantissima e sia il cardine su cui fondare i presupposti per la discussione. Per me arte è sinonimo di verità in quanto riesce a riprodurre tutte le connessioni e relazioni che sostengono l’universo, dandone un’immagine più precisa e completa di quanto possa offrire l’adorata scienza. L’arte conoscendo la verità – essenza della vita che si manifesta nell’organizzazione della realtà – non può tacere e nascondere i tentativi di omologare, standardizzare e disumanizzare la società umana, poichè questo è in antitesi con i principi che alimantano la vita. L’artista allora ha una missione simile a quella dei profeti ebrei che denunciavano le aberrazioni del potere rischiando anche la vita. Tutto ciò che non rispetta tali presupposti è soltanto una ricerca di ottenere un posto come incensieri del potere che legittima la violenza non solo fisica, ma anche intellettuale. Ritengo che la vita e le opere di Pasolini chiariscano la mia posizione.
Ciao Efisio, tocchi un mio grande dubbio, aiutami in tal senso.
L’arte dirige la cultura e il pensiero o è rappresentazione della cultura e del pensiero? Mi spiego meglio.
In parte penso che quando tanti libri rappresentano o parlano di una qualcosa, quel qualcosa sia radicato nella cultura, o quantomeno inizi a palesarsi. Ma può essere vero anche il contrario.
Molti libri oggi, per esempio, parlano della sessualità liquida (e anche molti contributi cinematografici): una persona può avere una relazione amorosa con partner dello stesso sesso e successivamente con un partner del sesso opposto, perché guarda non al genere del partner ma alla relazione.
Ora, ci sono vari contributi letterari e cinematografici in tal senso perché l’arte è rappresentazione di una società che muta i suoi valori o è un tentativo di cambiare i valori della società (ad esempio un tentativo delle ben note massonerie omossessuali)?
Non ho una risposta in tal senso, ragioniamoci insieme. Al momento è un dubbio che per quanto mi riguarda si avvicina allo storico “è nato prima l’uovo o la gallina?” Probabilmente però, un tale dubbio, ci aiuta ad avvicinarci con un’ottica critica a qualunque testo o film, perché qualunque sia la risposta riconosciamo il valore e il potere dell’arte.
Ciao Gigibi, grazie per l’ospitalità sul tuo sito. Per me l’arte è un mezzo, un tramite, attraverso il quale è spiegata l’essenza della natura . L’artista mette a disposizione le sue capacità per dare risposte concrete agli interrogativi reali che la ragione non risolve, e così rendere evidenti e denunciare le oppressioni e le violenze . Pier Paolo Pasolini, per me , ha incarnato al meglio la figura dell’artista, perché ha cercato di sviluppare senso critico e consapevolezza per smascherare gli inganni del potere; pensi che sia un esempio di artista valido anche ai nostri giorni?
Sì penso proprio di sì. Mi sono ripromesso di approfondirlo spesso, finora ho avuto poca occasione e lo conosco ancora troppo superficialmente.
Quello che non so e che non ho mai capito è perché dopo il famoso “io so”, non disse chi.
Non mi aspettavo questa esuberanza , la freschezza intellettuale del nostro giovane padrone di casa mi fa sentire un tantino inadeguato. Bravo, Giovanni. un piacere inerpicarsi per questi sentieri e non volermene se, per scorrevolezza del commentario, non mi soffermo su elementi comunemente condivisi. Li riprenderemo a tempo debito, stanne certo. Ritengo che questa modalità di confronto fornisca buoni frutti se si sviluppa sulle divergenze piuttosto che sulle rispettive convergenze d’opinione.
Nel commento di efisio individuo un elemento di grande importanza, ma anche qui preferisco soffermarmi sulla ‘diversità’. Quando egli afferma, l’arte supera la scienza, espone un principio spurio (il pensiero scientifico stricamnt non segue un corso monolitico) . Spero di poter risolvere da qui anche il tuo dubbio. Ma tanti e complessi sono gli agganci che mi offri con il tuo ultimo, geniale intervento. riprenderei quindi dalla seguente affermaz.: ‘…tutti insieme diamo la direzione.’ (Mi indicheresti gentilmente i dati della citazione? testo, autore, casa edit.)
Autore: Pablo T.
Titolo: Lo scopatore di anime, The fucker of soul generation.
Il titolo ha senso quando leggi il libro, è volutamente provocatorio e ci trovi molte riflessioni sull’arte oggi, pur essendo narrativa.
Casa editrice: David&Mathaus.
Qui trovi la mia recensione: https://giovannigarufibozza.it/?p=2192
Qui un mio approfondimento: https://giovannigarufibozza.it/?p=2252
Trovi on line anche più interviste che ho fatto a lui, con la radio on line Radiovortice.it
Siamo come frecce sparate a casaccio ma tutti insieme prendiamo una direzione (di pensiero).
– c’è la metafora forte
– c’è un qualcosa che definisci ‘gioco di parole’. Ok. Ma potrebbe inserirsi anche un altro fattore decisivo, quello simbolico e della coerenza del simbolo adottato. il paradosso delle frecce caratterizza una evidente impostazione scientifica. Viene spesso usato per indicare l’asimmetria temporale, paradigma imprescindibile dell’impostazione quantistica e indeterministica (ecco l’altra faccia del Sapere, quello contrapposto alla fisica tradizionale.) L’autore potrebbe aver voluto conferire un preciso indirizzo filosofico al suo scritto. Non so se l’ha fatto, qualora venisse confermato da altri elementi (coerenza della costruzione simbolica CCS) potremmo tranquillamente affermare di trovarci di fronte ad un lavoro di estrema rilevanza qualitativa, cioè di insindacabile valore artistico. Un siffatto criterio (CCS) dipanerebbe molti nodi rispetto quel discorso di condivisibilità/ oggettività da cui abbiamo principiato. Credo di avere , adesso , le idee abbastanza chiare, dunque se permangono dubbi è bene affrontarli subito.
Aspetta, non ho capito su cosa hai le idee abbastanza chiare… 🙂
Per la coerenza del simbolo, non ci avevo mai pensato, mi hai offerto un ottimo spunto da ricercare nelle prossime letture.
Suggerisci altro in merito ai criteri? Anche nuove categorie su cui basarsi
Inserisco una nota a beneficio dei miei interlocutori, nella speranza non appesantisca troppo la fluidità di questo confronto. Giovanni, dopo averla visionata, se non sovvengono domande ti consiglierei di rimuoverla.
La ‘freccia del tempo’ è una definizione piuttosto comune nel mondo scientifico. La fisica qntstca la adopera per delineare un discrimine preciso con la reversibilità temporale della fisica tradizionale, che è essenzialmente meccanicista (o deterministica). Tutti paroloni ma abbastanza semplici una volta che si conosce il significato. Il meccanicismo o impostazione analitica newtoniana , pone le sue basi sulla scoperta delle leggi di gravtz univrs UGL, le quali, come dice la parola, si basano sull’effetto di alcune costanti, non valide nella determinazione del movimento/mutabilità dell’universo. Pascal basa i suoi studi sulla probabilità e non sulla matematica/geometria euclidea che comporta l’utilizzo di soli tre livelli descrittivi , coordinate cartesiane. Il tempo infatti ne è la quarta imprescindibile dimensione. Il corso scientifico intrapreso dall’umanità dalla scoperta dei quanta in poi (WH, Plank Schrödinger, Bohr, tanto per ricordare alcuni studiosi), si pone e risolve molte questioni lasciate in sospeso dalla meccanica classica. Il mondo dell’arte coglie, in leggero anticipo sulla formalizzazione scientifica, questi elementi contraddittori del determinismo newtoniano, la partizione quantstc, li prova scientificam. racchiudendo il tutto nel famoso principio di indeterminaz. Possiamo dire allora che l’arte (ma anche e soprttutto la letteratura) si oppone con un simbolismo forte, coerente e costante al principio di gravità. E’ una sorta di battaglia contro il peso degli elementi e al vincolo che essi subiscono che è soprattutto un vincolo di pensiero. Vi sono autori che lo affermano chiaramente, (non faccio citazioni se non via mail), lo ribadiscono con una costanza e coerenza impressionante, ma per farlo, com’è nella natura dell’arte, utilizzano la cosiddetta struttura simbolica. Gli elementi simbolici cari a questi autori sono oltre le frecce, il fumo, le ali degli uccelli, il vento, a cui si contrappongono, gli orologi (omologatori del tempo e degli imperscrutabili ritmi biologici), la scuola (strumento accademico per eccellenza), le scarpe (i calzari di vento ne sono una rapprentazione efficace) le armature (come elementi di isolamento e di falsa difesa.) e tutti i meccanismi artificiali per i quali traspare una certa malcelata avversione. Allora vediamo che è l’uovo (ovvero la cellula) ad anticipare la nascita della gallina e non viceversa. Il detto rappresenta in realtà un falso paradosso una volta determinato il corso/direzione della ‘freccia del tempo’.
Uno spunto di riflessione davvero interessante.
Alla luce di questo, possiamo dire che l’uomo arriva dove la scienza ancora non può, grazie alla fantasia (intesa come capacità di stravolgere il reale tramite uso dell’arte).
In effetti, Verne ne è un esempio, ma anche Salgari: oltre ai celebri libri su Sandokan ce ne fu uno, rimasto meno famoso, in cui predisse la comparsa dei cellulari e della tv. Non ricordo il titolo purtroppo.
ho bisogno di rielaborare meglio il contributo di efisio.
– Mi viene in mente l’umorismo , ovvero la capacità dell’autore di alleggerire il contenuto attraverso il lato comico. Un fattore di cui tener conto come facilitatore comunicativo. il mio maggior cruccio rimane quello di individuare tre livelli espressivi fondamentali della narrazione, in modo da stabilire un collegamento con la pittura (i tre colori primari).
chiedo anche a te una ulteriore meditazione prima di definire i termini precisi delll’ interessante proposta sperimentale.
Mediterò sulle tre categorie perché sono uno stimolo interessante.
L’umorismo però non lo metterei tra le categorie fondamentali. E’ un fattore piacevole, quando c’è, ma se manca non rovina la lettura né la piacevolezza di un romanzo.
senti giovanni, mi sembra che l’interesse per questo confronto vada scemando (da parte tua), per non parlare di chi non ha nemmeno voluto partecipare e ti assicuro che diverse persone sono state direttamente invitate a farlo. Trovo alquanto contraddittorio che chi si occupa di valutazione letteraria non trovi motivazioni per un dibattito del genere, o forse non ci reputavano all’altezza. Non so e neppure voglio sapere. Per te il discorso è diverso. Ti consiglierei di approfondire meglio (fallo con persone, studiosi o artisti di tua fiducia) l’oggetto centrale di questo corpo di commenti , perché – e te lo dico con tutto il cuore – nella tua visione d’insieme, diciamo così, trapelano grossissime ingenuità, spigoli prevalentemente concettuali che andrebbero davvero scalpellati con umiltà. Ma so che questa non ti manca.
Io sono naturalmente a tua completa disposizione (l’e-mail la possiedi, no?) quindi, se ti viene in mente di porre le basi (dialettiche) per l’esperimento di cui dicevi (che al momento non vedo possibile.) apriremo un nuovo post da qualche parte. Mi incuriosisce approfondire eventualmente i tuoi romanzi (se leggi bene fra le righe capirai perché i classici non rappresentano un buon piedistallo sperimentale), perché su quelli mi rimane un dubbio forte che questa nostra amichevole chiacchierata (peccato non sia stato nulla di più) non ha sciolto. Bene, quel che volevo dire l’ho detto , per tutto il resto … c’é mastercard
Ciao Fabio,
a dire la verità, ero in attesa di tue risposte ai miei commenti.
Il mio tempo è limitato, ma non il mio interesse per l’argomento. Avevo risposto ai tuoi ultimi commenti, ponendo anche delle domande, ed ero in attesa di tue risposte.
Posso non essere solerte a rispondere, ma mettiamoci anche che i commenti del sito non sono propriamente il mezzo più comodo per dibattere, anche perché nel back stage delle approvazioni si perdono nel mare di spam che arriva quotidianamente.
Per gli altri non so che dirti, ma credo che il problema nasca dal fatto che non si può confondere lo spazio dei commenti al sito per un forum, quindi dovremmo trovare una piattaforma più adatta.
Sull’ingenuità, l’ho sempre considerata una risorsa positiva, quindi ti ringrazio del complimento. Contiene la parola genuinità, che ha a che fare con l’essere sinceri in ciò che si dice, con il volersi meravigliare costantemente, e dunque essere sempre aperti all’apprendimento.
Va da sé dunque che, se è da un lato tra i miei interessi migliorare le mie valutazioni, esse sono un diletto, e come tale voglio che rimangano. Come ti ho detto a inizio conversazione, vivo di altro e altra è la mia professione.
Resta inteso che se vuoi trovare altri sistemi di scambio sono a disposizione per continuare il dibattito, con i tempi e con le modalità che ho. Altrimenti, è stato bello essersi incontrati.
Giovanni non è il tuo impegno, la tua encomiabile disponibilità e simpatia, ad essere messa in discussione. Ho avuto un piccolo sfogo, una piccola delusione che non vuole intaccare la stima per l’atteggiamento fin qui da te dimostrato. Non alludevo ai tempi di replica, quelli vanno benone.
Per quanto concerne la sede, hai ragione, ma il problema non è la piattaforma, quella del blog dispone delle attrezzature adeguate. Non occorre fare ammucchiata ma una rappresentanza di posizioni antipodali. Quella che non si è verificata, per l’appunto.
Certo, due o tre post convergenti sui contenuti analoghi, magari su siti diversi in sinergia fra loro, opererebbero meglio in funzione dialettica, non ci son dubbi. Ciò che conta è la disponibilità e la volontà di approfondimento del popolo dei sedicenti scrittori, se ci fosse quella saremmo a cavallo. Ma con che faccia si può parlare di ‘valutazione’ se i contenuti messi in campo ( ciò che va per la maggiore in rete) sono così poveri e scontati? (spero sarai d’accordo, altrimenti indicami pure altri link dove si sono toccati conclusioni e argomenti simili ai nostri.)
Per quanto concerne le risposte che dovrei dare, in realtà mi è parso di aver letto soprattutto repliche un po’ ristrette, alle mie perplessità. Insomma non ho capito dove non sono stato esauriente. Mi è parso anzi di aver scritto anche troppo.
Sulla mail, trovi le mie considerazioni in merito e l’invito a proseguire