È certamente un film da vedere per informarsi sulle tante vite spezzate dalla criminalità organizzata.
Purtroppo, non appare all’altezza delle tematiche che affronta (il lutto, la vita in carcere, la lentezza della giustizia, la solitudine, il suicidio) rimanendo piatto dall’inizio alla fine, complice anche la monotonia e inespressività di Valeria Golino (Scamarcio l’avrà contagiata?).
La lettera finale, scritta realmente da Armida Miserere, svela quanto si sarebbe potuto lavorare sull’emotività, facendo vibrare lo spettatore. Si è scelta invece la cronaca sterile di una vita, che si sarebbe potuta descrivere meglio.
E’ vero che Armida Miserere era considerata una dura, ma questo non vuol dire che la durezza debba diventare sinonimo di piattezza.
Un documentario avrebbe emozionato di più. Un film, però, è altro.