Avevo promesso ai lettori di questo sito degli approfondimenti alla recensione. E mantengo fede alla parola data, scrivendo però una lettera pubblica, a te rivolta.
Mi concentrerò solo su Lo scopatore d’anime, molto ci sarebbe da dire sul Manifesto, ma molto abbiamo detto e diremo ancora in giro per l’Italia e attraverso la rete. E a ogni incontro, scateneremo quella tempesta di idee, cultura ed empatia che caratterizza ogni nostro contatto.
Qui citerò e commenterò alcuni tuoi passaggi, rubandoti un po’ quello stile fatto di aforismi, che caratterizza la promozione del Manifesto e del tuo libro, che ormai ne è simbolo. Sono passaggi sottolineati e commentati nella copia che ho comprato. Li dono a te e al mio caro visitatore che sempre cito a inizio articolo.
C’era una netta differenza tra il buono e il buonista. Il buono aveva sempre bene in mente la strada del male, pertanto, sceglieva naturalmente quella del bene. Il buonista, per non sbagliare e non fare torto a nessuno, perseguiva entrambe le strade, non comprendendo che, così, avrebbe prestato il fianco solo al male.
Una differenza notevole, finalmente sottolineata, che pone l’accento sulla conoscenza del male, e dunque dell’errore (e dell’errare, non come deviante, ma come viandante), per essere buoni.
Questa era la mia unica legge: la scelta.
Questa è la frase che mi ha fatto decidere di farti incontrare con Ilaria Fanton, nicciana convinta, che mi ha insegnato il valore della scelta per Nietzsche. Un prerequisito che per gli artisti è fondamentale è quello di saper scegliere di essere tali. Si scrive un testo perché si sceglie di cimentarsi in un argomento, perché si ha competenza su esso. È uno dei tratti che più di altri distingue un bravo autore dalla fuffa comunemente diffusa.
Adesso, prima di spedire un mio lavoro a un editore italiano, chiedo: “siete cattolici praticanti? Perché, sapete, potrebbe esserci qualcosina di blasfemo. Siete, mica, altolocati? Perché, sapete, potrebbe capitarvi tra le mani qualche dialogo tra un barbone e una puttana.
Mi hai ricordato un libro di Enzo Biagi, Germanie, che iniziava pressappoco così: se pensi che i tedeschi siano cattivi, chiudi il libro, non fa per te.
Ecco, occorre una premessa importante per far cultura: non prostituirsi al pensiero comune, non adeguarsi al lettore per vendere, ma portare in esso una riflessione e un perturbamento. O fioccheranno, come capita oggi, testi simili l’uno all’altro, che gridano un solo messaggio: sono come tu mi vuoi, per vendere, sono figlio della cultura e te la ripropongo in modalità fotocopia, immutata. Occorre avere la pretesa del perturbamento, per esserne portatori. O saremo un grido muto tra sordi.
Ognuno con in mano quel bravo biglietto per il loro quotidiano giro sull’ottovolante del delirio. Ciò che mi spaventava, di più, era vederli sorridere alla loro sorte ingrata, parlottare fra loro, fumare e attendere la loro dose di ghigliottina giornaliera (…) Gli odori si miscelavano gli uni agli altri, gli humus s’incontravano come in una voliera di uccelli rapaci. Quel contatto coercitivo era quasi disumano, inconcepibile, bestiale. Ognuno di loro rimaneva in silenzio, sollevando, di tanto in tanto, lo sguardo, come a cercare una via di fuga. Con queste affermazioni mi hai ricordato Kundera che, ne L’insostenibile leggerezza dell’essere (un romanzo che fece scalpore e critica), parla degli abbracci sui mezzi pubblici, abbracci mal voluti, costretti. È un paragone che faccio di buon grado e prendilo come complimento: ho amato questo libro di Kundera, ho girato Praga con il suo romanzo in mano, ho rubato da lui per descrivere questa splendida città in Alina, autobiografia di una schiava.
Non c’erano più cervelli che portavano a spasso uomini, solo uomini che portavano al guinzaglio cervelli, o , ciò che ne rimaneva di essi. Questo grido composto di insoddisfazione, verso l’adeguamento alla monotonia del quotidiano, rispecchia il mio pensiero, la mia continua ricerca di evasione: voglio nutrire l’anima, non portarla al guinzaglio verso mete già battute.
Già, il mio capo. Il giorno che avessi pensato con i suoi pensieri e avessi parlato con le sue parole, avrei perso, irrimediabilmente, anche il mio cuore. Un capoccione che governava schiavi legalizzati e gaudenti, ignari animaletti d’ovile, con le loro brave e brevi pause caffè. Per tanti anni ho avuto un capo simile. Saranno loro a farci questo effetto o è un prodotto della nostra comune necessità biologica di indipendenza del pensare e dell’agire?
Ma i spingi oltre: Immaginai che, l’uno sopra l’altro, in una sorta di promiscuità legalizzata c’erano tutti i dipendente dell’azienda, come un domino che non avesse mai fine, che faceva delle loro vite dei freddi dati da incrociare, come flotte delle battaglie navali. Qui descrivi perfettamente i danni del capitalismo. E dire che, un secolo e più fa, si condannava il fordismo, che trasformava l’uomo in una macchina impiegata a ripetere ossessivamente lo stesso gesto per garantire la produttività. Oggi nel terziario si diventa numeri e si è trattati come tali. E la matematica non ha sentimento, non ti considera padre di famiglia monoreddito, povero o benestante. Per soddisfare sua Signoria Produttività (sempre lei!), la matematica pensa solo che due più due faccia quattro e che cinque meno due diventi tre. E quando l’uomo è ridotto a numero, qual è la differenza con la schiavitù dei lager, dove finisce l’anima?
Anche tu riporti i drammatici effetti. Ogni tanto, qualcuno di noi, diveniva, a sua insaputa, un morto che camminava, una x marchiata sulla schiena, un bersaglio che si muoveva attraversando i lunghi corridoi, sino ad essere raggiunto dallo schioppo di una fucilata di qualche cecchino pronto a commutarlo da problema ordinario a “soluzione” del problema straordinario. Sembra una velata difesa all’articolo 18, ma gli effetti drammatici del mondo capitalista attuale sono sotto gli occhi di tutti noi. 🙂
Ci sono persone che ti lasciano un vuoto incolmabile e, altri, purtroppo, che ti lasciano solo colmo di vuoto (…) A chi parte, resta un calco del Suo Cuore. A chi resta, parte un ologramma del Suo Cuore (…) Forse non potremo mai cambiare i destini del mondo, ma potremmo cambiare un mondo di destini.
Chapeau! Sono questi giochi di parole e immagini che conquistano un lettore come me. È questo saper tessere le parole, giocare con il loro significato, che distingue uno scribacchino da uno Scrittore.
Perché, la felicità non era un oggetto prezioso, non era un’auto fiammante, non era una scopata di una notte, non era una sbronza, né una barca a vela. La piccola felicità era un momento, una umile frazione di tempo effimero, che Ti fermava il battito del cuore per un attimo e ti faceva riflettere: “Posso girare il mondo, ma una cosa così bella non l’ho mai vista prima.” La felicità era solo quell’istante in cui tutto ciò che gli altri non riuscivano a vedere, finalmente, ti apparteneva.
L’unico uomo che può dire di essere felice è colui che muore nel momento di massima felicità. Perché dopo l’apice, la vita ti porterà comunque a cadere. È un concetto scritto da uno dei primi storici conosciuti dall’umanità, Erodoto. Fece parlare Solone in merito. Alla domanda dell imperatore Creso su chi fosse il più felice (sperando che l’ateniese rispondesse col suo nome, dominatore di buona parte della terra conosciuta) Solone risponderà con tre esempi di felicità in cui cui i comuni denominatori sono l’umiltà delle gesta e l’essere morti nel momento di massima gioia. “Ospite ateniese, la nostra felicità l’hai svalutata al punto da non ritenerci neppure pari a cittadini qualunque?”
Una Chiesa che scoppiava preservativi, invece di promuovere la prevenzione dell’aids, una chiesa omofoba che perseguita i diversi, come se fossero il cancro del Terzo Millennio, una chiesa che sprangava le porte ai separati, senza comprenderne le dinamiche, una chiesa che minimizzava le violenze sulle donne (…)
Qui sei caduto un po’ nel luogo comune. Hai molta esperienza dell’Africa, quindi non dubito che il tuo sia un parlare con cognizione di causa. Ma so che è una critica spesso rivolta alla Chiesa, ma anche mal posta.
La Chiesa è contraria ai preservativi, è vero, ma perché il preservativo è un mero cerotto. E non può fermare la diffusione dell’AIDS con un cerotto, almeno non senza accanto un’educazione alla socioaffettività. Spero di spiegarmi in poche righe.
Non sono contrario agli anticoncezionali, anzi, ma li ho sempre considerati uno strumento maschilista per permettere all’uomo di svuotarsi le palle, a discapito delle donne. Prendere la pillola fa sì che la donna torni bambina, con un ciclo finto e la si prende anche in assenza di cause mediche (tu prenderesti un antidolorifico senza sintomi?). Perché? Per fare sesso comodamente. Gli altri anticoncezionali non sono dissimili. Il metodo anticoncezionale proposto dalla Chiesa (il billing) impone all’uomo di conoscere la donna, il suo corpo, la sua fertilità. È un metodo, se vogliamo, anche più femminista, perché impone all’uomo una conoscenza dell’altra e alla donna la possibilità di farsi conoscere. È un metodo di coppia, basato sul rispetto reciproco, sulla conoscenza e sull’empatia.
Le tre componenti che sono le migliori armi per fermare il contagio dell’AIDS, ben più efficaci di un preservativo. Hanno un solo handicap: l’uomo deve impegnarsi ad essere tale e non fermarsi allo stadio animale.
Altra questione è l’omosessualità. Il catechismo della chiesa cattolica condanna la discriminazione e propone il rispetto della diversità. Ciò che viene bollato è l’atto omosessuale (come, del resto, l’atto eterosessuale). Qui si aprirebbe un capitolo intero sui cosiddetti civil rights, ma non è questa la sede. Ma parlare di Chiesa omofoba che perseguita i diversi mi pare un cincinino esagerato. Tra l’altro, spesso, dietro la difesa del diverso si insinua chi mira alla costituzione di un ordine nuovo: sono i massoni, ben più pericolosi della Chiesa. Occhio, perché spesso condannare gratuitamente una posizione, per quanto criticabile, apre la strada a logge molto più pericolose. E si scopre che la propria rivoluzione è in realtà manovrata da burattinai più furbi di noi. Ma avremo modo di parlarne 😉
Altro potrei dire sul periodo che dedichi alla Chiesa, ma ci sarà altra sede, modo e occasione 😉
Un punto di incontro però, tra noi, c’è: Perché la gente non può pensare con un’unica mente, reagire con un unico cuore, senza per questo essere tacciata di costruire un mostro, un gigante deficitario? In questo Tempo, noi siamo fuori dal Tempo. Individualisti ed egoisti. Disgregati e disgreganti. Morti che si illudono di vivere. Nessuno ricorderà le nostre mani, nessuno comprenderà i nostri corpi, qualcuno piscerà sui nostri ricordi. (…) Essi vivono dentro il loro cervello, camminano e interagiscono in un mondo parallelo. Crescono con l’idea che tutto sia dovuto, che tutto debba essere immediato, che ogni risultato debba giungere immediato e senza fatica. Ritengono che i problemi altrui siano talmente lontani da essere ovattati. Stiamo rendendo i nostri ragazzi di burro. Responsabilizziamoli. Questa generazione è una generazione di individualisti, che cresce all’ombra di se stessa.
Ora mi diventi cattolico? 😀
Perché la condanna più forte che fa il cattolicesimo è proprio verso l’individualismo. Sono concorde con te che dovremmo essere maggiormente sociali (modello orientale) e non individualisti, come chiede e quasi impone il modello occidentale, ma mi chiedo quanto questo solipsismo sia naturale e quanto sia creato dallo stesso uomo? Anche tu caschi nell’individualismo poche righe più avanti: Maledicevo la gente, il loro rumore, il loro blaterare, il loro incontrarsi, le loro risa, la sordità del tempo, la peste del destino, l’ira di quei giorni sempre immutati, gli inutili mattini isolati dal silenzio, la sveglia, le mie mani, la mente, questa assenza non programmata. Detestavo ogni cosa che non mi ricorda lei, ogni cosa che non mi racconta di lei.
A proposito di cattolicesimo, mi ha colpito il Credo che reciti… 😉
Abbiate sempre un credo. Fosse anche un cane, un diavolo, un bicchiere di whisky, un fottuto sogno, un ideale in frantumi, qualcosa d’impossibile. Perché, il giorno che non l’avrete, Vi addormenterete uomini e Vi risveglierete rami secchi.
Questa frase potrebbe diventare il mio motto, credere sempre, non addormentarsi mai su ciò che si è, ma cercare sempre di avvicinarsi a ciò che si vorrebbe essere domani. In breve, mettersi in moto, per non vivere mai da morti.
Gerard aveva chiuso dietro di sé la porta di casa, imprigionando le loro ossa insieme ai loro pregiudizi, sigillandoli nella loro stessa patetica incomprensione.
Mi sono appuntato questa frase, è semplice e forte al contempo. Quando arriverò a scrivere come te? 😉
(…) in quel chiaroscuro di china che era la sua stessa esistenza.
Potevo non sottolineare questa frase? Non è un’immagine perfetta per una certa ragazza, dai chiaroscuri di personalità, un po’ Martina, un po’ Selvaggia? 😀
Solo in quell’istante infinitesimale compresi che l’abbraccio era il moto dell’anima che si faceva carne e si rendeva visibile per un attimo.
Ecco come in una frase sei riuscito a portare il Paradiso in un gesto. Ho sempre sostenuto che la vera espressione della nostra anima fosse il sorriso, immediato, gratuito, capace di penetrare dentro l’intimità dell’altro, modificandola. Tu mi hai offerto questo nuova veste dell’anima, capace di creare un contatto privilegiato, perché mentre il sorriso può essere rivolto ai tanti, l’abbraccio è per pochi eletti. Di sorrisi ne dispensiamo a tonnellate, chi più chi meno, tanti reali, provenienti dall’anima, tanti altri finti, di circostanza, vuoti. Di abbracci ne concediamo probabilmente pochi, e difficilmente sono finti.
Quella notte fui certo che gli occhi delle donne avrebbero potuto lenire ed abbattere, curare ed ammalare. Ero sicuro che le loro anime non si erano, ancora, messe in gioco…E, che, quando sarebbe avvenuto, avremmo avuto tanta carta su cui scrivere, che non ci sarebbe bastato il manto della volta celeste.
Ecco, qui Virginia Woolf ti avrebbe picchiato (hai mai letto questo mio articolo?). Fu lei a scrivere: Avete un’idea di quanti libri si pubblicano sulle donne in un anno? Avete idea di quanti di questi libri sono scritti da uomini? Sapete di essere, forse, l’animale più discusso dell’universo? La donna attrae anche i piacevoli saggisti, i romanzieri dal tocco leggero, i giovani che hanno preso la laurea in lettere; altri che non hanno alcun titolo apparente tranne quello di non essere donne. Viceversa, le donne non scrivono libri sugli uomini.
In breve, la Woolf sosteneva che si era già scritto troppo sulle donne. E che quando le donne avrebbero iniziato scrivere, lo avrebbero fatto su altre donne, non sugli uomini. Quando le loro anime si metteranno in gioco, Pablo, probabilmente dovremo smettere di scrivere, e tentare di mostrarci meno scontati e finiti di quanto non abbiamo già dimostrato in millenni di storia. Quando si metteranno in gioco, dovremo scalare le stelle per esserne all’altezza, perché tutta la storia dell’uomo è stata spinta da un complesso maschile deprimente: quello di dimostrare non tanto che la donna è inferiore, ma che l’uomo è superiore. (V. Woolf)
Perdevamo tempo, cercavamo il modo di far passare il tempo, ammazzavamo il tempo e, non capivamo che il tempo era il nostro peggior nemico, un furbo lumacone in naftalina. (…) Il Tempo era un’invenzione dell’uomo…Un sadismo perpetrato ai suoi danni, uno dei tanti confini e delle tante prigioni mentali. L’avevo sempre detestato… Forse, perché lo avevo sempre appiccicato al culo, come colla sul culo di un francobollo. Bah. Quanto tempo perdeva la gente per inutili stronzate. Quanto tempo divorato dal tempo, quanta vita data come resti ai piccioni, quanto tempo rubato al tempo, invece di comprendersi, di parlarsi, di unirsi. Non sarebbe bastato un ripostiglio come il cielo per tenere dentro tutto il tempo perso della gente.
Qui hai ripreso una tematica vecchia come Seneca, che esortava a guardare la qualità e non la quantità del tempo vissuto. Parli del tempo che l’uomo perde, dicendo che è un’invenzione umana, una delle tante per farci male, sadicamente (lo è anche l’economia). Se ci fai caso, è il bene più prezioso che abbiamo, perché è l’unica cosa che non torna che una volta passata è persa. Sarà forse anche per questo che la parola presente ha la doppia accezione di momento attuale e dono? E che proposte potremmo fare ai tuoi lettori sul tempo? Tra tanti manuali e pseudo-manualetti per vivere alla grande il proprio tempo e gestirlo al meglio, tu cosa proponi per non perdere tempo e dunque per guadagnare tempo?
Entrai nel cesso per svuotare i sogni della notte dentro quella tazza del cesso che m’osservava con la bocca spalancata
No, non l’ho segnata per la sua poesia, ma perché ogni mattina penso che tutti i sogni della notte finiscano lì, che sia un momento per svuotarsi dell’onirico e riempirsi di realtà. Se permane qualche sogno viene anestetizzato dal caffè. Hai praticamente scritto una frase che rappresenta ogni mia alba. E vederla scritta da qualcun’altro, mi ha fatto pensare… Ma, cavolo, valgono così poco i nostri sogni?
Non soggiacete a signora indifferenza. Questo è il suo secolo. Lei è sovrana, colei che nulla muta e tutto tace. Non ospitatela, le state concedendo vitto e alloggio; ella vi uccide, lentamente, l’anima. Si nasconde tra gli angoli del vostro cuore e si maschera da tranquillità d’animo, vi occlude gli ingressi della mente, vi lega le membra e vi addormenta la coscienza. Vi anestetizza il desiderio, vi paga a caro prezzo il rifiuto, vi rende incapaci di decidere. (…) Signora indifferenza è una vecchia conservatrice blasonata e voi siete i suoi servi. Non soggiacete a signora indifferenza, potreste perire, pur credendo, ancora, di vivere e camminare.
Su questo tema si potrebbero scrivere interi post, ed è un invito forte quello che fai. In-differenza, la non differenza, il non vedere l’altro diverso da me, il non cogliere e perciò il non accogliere… (sto facendo brain-storming…) E indifferenza verso che o verso cosa? Tu non lo specifichi, e fai bene, perché potrebbe essere verso tutto: siamo indifferenti alla vita, vero il nostro Paese, verso l’altro, spesso a noi stessi. E sono convinto che sia la monotonia del quotidiano ad aver partorito signora indifferenza, ad averci messo i paraocchi per non vedere direzioni e persone diverse dalle solite. Muore qualcuno per strada e restiamo indifferenti. Scoppiano guerre e restiamo indifferenti. Crolla il paese, il tessuto sociale, e restiamo indifferenti. Ma Signora indifferenza è al pari del tempo una nostra invenzione per chiuderci nel nostro egoismo. (piccolo commento scritto di pancia… mi stai ispirando vari post, l’inventato tempo dirà se li scriverò effettivamente o meno). 😉
Ho amato, poi, le agili stoccate che hai dato al razzismo. Non ridete Mai dei diversi…Perché Loro potrebbero ridere di voi che, invece, siete tutti uguali. (…) L’unico razzismo che pratico è quello sull’imbecille cronico. Che vuoi aggiungere di più? Che il concetto di norma è un mito occidentale? Che la normalità non è altro che una delle tante follie della società per giustificare se stessa? (Focault docet!). Che l’unico risultato che abbiamo raggiunto dopo millenni, l’abbattere i muri fisici dell’apartheid, si è trasformato nella costruzione di muri mentali? Sì, possiamo aggiungere tutto questo… ma preferisco le tue agili stoccate! 😀
Voglio poi regalarti questo mio racconto, La filosofia dell’ottimismo, perché parla di crisi. E c’è una tu frase a cui l’ho ricollegato: E’ nelle difficoltà che l’uomo scrive la sua storia.
E poi, da ultimo, ma non meno importante, ciò che io vedo come una delle testate d’angolo del pensiero del Manifesto.
Leggete bene. I libri sono storia di vita vissuta tra le vostre mani. Pezzi di carne, pezzi di anima sparsa. (…) I veri libri non hanno bisogno di compiacere, né di compiacersi. Non nascono nei laboratori dei Baci Perugina. Non pagano per essere applauditi, semplicemente insegnano, senza avere alcuna pretesa. Tutto il resto? Mediocrità, spazzatura, illusione patetica, insomma seghe veloci di pivelli che eiaculano troppo presto. (…) Ricordate, non abbiamo bisogno di bocche che sappiano parlare, ma di cuori che sappiano sentire e di menti che sappiano distinguersi. Perché la cultura non è il caviale dei ricchi, ma l’oro di tutti.
A conclusione…
Ho preso frasi e scritto frasi, ho scritto disordinatamente perché così volevo. Ho stimolato e restituito stimoli.
Mi è venuta così, una riflessione scritta per incuriosire, per provocarti, provocare chi ci legge e, soprattutto, provocarmi. A qualcuno apparirà come una guazzabuglio di scritte, ad altri, e spero soprattutto a noi, il risultato costruttivo di una stimolazione continua, nata dal tuo libro (che ha sancito il nostro incontro) e dal nostro continuo confronto in privato.
Grazie Pablo, perché mi hai donato ciò che cerco in un libro: riflessione,stimolo, grido di cambiamento, capacità di aprire gli occhi. Il tuo merito è di esserci riuscito senza fare filosofia spicciola, hai scelto l’underground, hai scelto il sottosuolo, senza elevarti a maestro. Hai stimolato senza importi, hai guidato senza farti guida. Non hai condotto, ma sei stato a fianco. Hai preteso, senza apparire pretenzioso. Questa è stata la dote più apprezzata, questa è la tua vera forza. Questa è l’arma del tuo successo.