Ho letto il testo di Flavio D. Lamb, Il venditore di Bibbie, in versione e-book, gentilmente regalata dall’autore, che ringrazio per il dono.
Un po’ di sinossi, per iniziare:
Un vecchio rassegnato alla sua incurabile vecchiaia apre la porta di casa a un ragazzone sorridente che cerca nell’arredo spunti di conversazione, come se non fosse lì per vendergli qualcosa. Una giovane aspirante grande venditrice, arrivata in anticipo alla riunione-festino della sua azienda, ascolta attraverso il soffietto il training che si volge dall’altra parte. Tecniche di vendita estreme e vita sessuale nella norma della generazione sopravvissuta al 2012.
Poco prima di scrivere questa recensione, ho ricercato il libro in rete, scoprendo che è auto-pubblicato sul sito del miolibro.it. Si può trovare la versione più recente datata a febbraio del 2013. Non posso nasconderti che mi sia scappato un sorriso, a pensare come Flavio abbia compreso presto la necessità di uscire dai confini asfissianti del portale, rivolgendosi a recensori esterni. Ilmiolibro.it è un sito di autori letti unicamente da autori. C’è un continuo scambio di recensioni che possiamo tranquillamente definire finte basate su un mutuo-aiuto sterile: tu leggi me, io leggo te, ci mettiamo tante stelline a vicenda… ma la verità qual è? Il libro mi piace davvero o solo perché ti ho commentato il libro? E il tuo libro mi piace davvero o solo perché ti è piaciuto il mio? 😉
La rete è troppo grande per restare chiusi in questo mercimonio e in giro ci sono molte più possibilità di avere valutazioni critiche e oggettive, positive o negative che siano. Lamb, come me, sembra averlo capito molto presto.
Veniamo al libro. È sicuramente un testo coinvolgente e attuale, a tratti fa addirittura incazzare (mi si passi il francesismo), perché rispecchia molto bene la triste realtà dei trentenni dei nostri giorni (i cosiddetti sopravvissuti al 2012, come li definisce Flavio). È un testo cinico, spietato, non fa sconti: fotografa dei personaggi costretti a mordere per sopravvivere, a scendere continuamente a compromessi con la coscienza e con la vita. Precari martoriati da un Paese che, quando non li fa scappare, li abbrutisce.
Condividerai il comportamento del protagonista Marco in certi passaggi del romanzo? No, ma sarai portato a giustificarlo, a comprenderlo, il che forse è ancora più triste. (Non voglio anticiparti troppo, caro visitatore, devi leggerlo per capire questa mia posizione… 😉 )
È poi un testo che ha punti di bell’erotismo, molto coinvolgenti, diretti, Lamb sicuramente le cose non le manda a dire. E ha anche il pregio di farlo a metà libro, quando furbamente ha preso confidenza con il lettore. Ma qui ho la prima critica da inviargli: spesso la troppa direttività si traduce in termini che appaiono volgari e anche un po’ scontati. Sia chiaro, non sono contrario ai termini diretti alias volgari, li uso anche io, ma devono comunque ben inserirsi nel testo: usare cazzo e buco di culo gratuitamente non rende l’autore più simpatico di quanto tu non lo sia già stato ad inizio testo.
Meglio sarebbe stato sfumare i termini, creare quell’effetto patina, in cui il lettore comprende esattamente quello che vuoi dirgli, ma non lo legge direttamente: una cosa che rende i testi erotici (nel caso di Lamb le scene di sesso) anche più eccitanti, se vogliamo 😉
Passo ai personaggi. Rebecca è il personaggio che viene meglio descritto in tutto il testo, probabilmente anche un po’ troppo forzata negli atteggiamenti, quasi stereotipata. Marco è invece più sfumato, descritto attraverso gli occhi di Rebecca, più tratteggiata dall’autore. Dunque abbiamo un personaggio maschile descritto dagli occhi femminili di Rebecca e un personaggio femminile descritto dagli occhi maschili dell’autore. Mi verrebbe da chiedere come mai? Perché la cosa si apre a molte interpretazioni: ci sono dei tratti in Marco che rispecchiano Flavio Lamb, e perciò più facilmente descrivibili attraverso una mediazione femminile? Il personaggio maschile è, come accade in molta letteratura, più scontato (cfr. questo articolo) e serviva la mediazione di una donna per renderlo più interessante? È poco eterosessuale soffermarsi troppo sul genere maschile, mentre la donna, specie se figa, possiamo descriverla da tutte le angolazioni possibili e immaginabili (perché, ammettiamolo, noi uomini arriviamo anche a chiederci questo…)?
Mi dirà Lamb, commentando la recensione o scrivendomi. Dal canto mio, senza anticiparti troppo, passo a fare alcune considerazioni sul finale. L’ho apprezzato, anche se alcune delle proposte politiche e sociali che l’autore scrive a fine libro mi hanno perplesso parecchio, nonostante abbia apprezzato non poco l’atteggiamento costruttivo di F. D. Lamb nell’esporle. In un Paese dove i media ci propinano continuamente rottamazioni, marce su Roma, violenza fisica e verbale, insulti e proposte politiche folli, che si legano più alla distruzione, un elenco di proposte, probabilmente irrealizzabili in un Paese come il nostro, ma poste in un tono costruttivo fanno respirare un sospiro di sollievo: non siamo tutti impazziti in Italia. 😀
Bello l’articolo finale, anche se stride un po’ con la figura di Rebecca. Bella l’idea di una riscossa che parta dalla rete, un cambio senza leader e capibastone, che alla lunga assumono l’ambiguo e doppio ruolo di risorsa e limite (riferimenti a movimenti, stelle e grilli vari puramente casuali… a proposito di questo, nota per l’autore: Grillo si scrive con la G maiuscola, essendo un cognome. Sta antipatico anche a me, ma almeno la maiuscola concediamogliela 😉 ) Bella anche la panoramica di ciò che si può fare di positivo e di negativo con la rete, in tutto ciò l’autore ha la capacità di restare esterno, di non prendere lui stesso posizione, ma di farlo attraverso i personaggi, cosa che stimola un bel dibattito con lui sui temi che porta, per chi voglia leggere il suo testo e contattarlo.
Ultima critica/perplessità: ci sono alcune cose da rivedere, fatti salvi alcuni refusi evidentemente sfuggiti, che segnalerò all’autore. Ci sono alcuni passaggi dove si fatica a capire i movimenti dei personaggi, per una descrizione poco accurata degli stessi e dell’ambiente in cui si svolge l’azione, in particolare nelle parti che riguardano i movimenti di Rebecca all’interno dell’hotel. È l’altra faccia della medaglia alla sintesi, che sicuramente premia la lettura e il ritmo del testo: ci sono passaggi in cui si può essere maggiormente incisivi e un po’ più chiari.
Nota di merito finale per il comico problema di alcuni cognomi piuttosto strani nel nostro Paese (Rosa Chiappetta, Carlo Vacca… ti aggiungo Domenica Meladai). Ma quello di Rebecca, sul finale, è geniale 😉
Consigliata la lettura.
Grazie Giovanni per la recensione è stato un vero piacere leggerla (un po’ meno scoprire che i refusi di cui parli c’erano davvero..)
Come ti avevo anticipato ci tengo a rispondere qui alla tua domanda: cosa vogliono gli uomini che scrivono le donne?
Mi ha stupito la tua interpretazione; di come hai percepito che per l’uomo una descrizione di donna (specie se figa, ripetiamolo) sia un gusto mentre quella di un altro uomo sia un imbarazzo. Di come questo si manifesti in figure maschili abbozzate e pagine intere sulle labbra, i capelli e i biondi boccoli di lei.
Non fa una grinza a dire il vero.
Ma la mia era un intenzione completamente diversa, quella di utilizzare il non-raccontato come parte integrante della storia. Così, del personaggio convive con lo spettro del suo passato familiare questo sarà da approfondire, mentre di quello che ne ha fatto un taglio netto non se ne parla, per trasmettere appunto che non ci pensa. Sono convinto che creando uno sbilanciamento descrittivo tra due protagonisti alla pari si percepisca ancora di più la loro differenza tra le loro priorità. Entrambi hanno una sequenza allo specchio, se ci fai caso, quella di lui dura una riga, quella di lei un mezzo capitolo. Perché sta lì, si mette la crema, si schiaccia un brufolo, guarda la ruga, si cambia due volte. È stereotipato, certo, ma è anche realistico. La realtà è piena di stereotipi.
Rebecca è pur sempre una parte di me, di chi se no.
La leggerezza con cui alcuni convivono con i loro mostri.
“La realtà è piena di stereotipi”, su questo mi fai riflettere, e molto. E’ una visione molto interessante, ci rifletterò su.
Per il resto, non ho capito un punto: quella di utilizzare il non-raccontato come parte integrante della storia. Così, del personaggio convive con lo spettro del suo passato familiare questo sarà da approfondire, mentre di quello che ne ha fatto un taglio netto non se ne parla, per trasmettere appunto che non ci pensa.
Mi sono fatto un’idea, ma prima di risponderti, ti chiederei di approfondire un po’ quello che intendevi dire. Perché sembra una costruzione interessante, che potrei non aver colto io 🙂
E se non l’ho colta, come è possibile e probabile, sono pronto ad apprendere da te.
È un’idea di comunicazione un po’ avanzata, forse non sono riuscito completamente a trasmetterla in questo libro, nel prossimo cercherò di perfezionarla.
Credo che il vantaggio di muoversi in un ambientazione che il lettore già conosce sia proprio quella di potersi appoggiare sulle sue idee, poi decidere se assecondarle o deluderle.
In questo secolo possiamo far comparire una pistola nel primo atto e non farla sparare mai. Per depistare l’attenzione. Il pubblico di oggi è molto sveglio. Non è più da accompagnare nella nostra storia, perché già corre verso ciò che immagina succederà. Ed è lì che l’autore può stupirlo.
Tutte queste piccolezze è difficile esprimerle nel formato tascabile del venditore di bibbie.
Sotto un altro aspetto credo che la predisposizione all’osservazione di se, alla propria situazione emotiva, alla propria presenza all’interno della società siano caratteristiche spiccatamente femminili. Che appartengono meno al mio introverso protagonista.
Sul fatto di spiazzare il lettore, io credo tu ci sia riuscito alla perfezione. Il tuo romanzo inizia in un modo e ti sconvolge nelle pagine finali.
Ecco, forse “il formato tascabile” ha fatto sì che questo accadesse in poche pagine, molto velocemente, ma l’obiettivo l’hai raggiunto.
Concordo con te sull’ultimo punto, ecco perché tipicamente ci sono molti romanzi sulle donne e pochi sugli uomini: la mancanza di un’osservazione di sé ci rende più scontati del tre per due al supermercato, anche nella letteratura 😉