Questo è un post di denuncia, e presto procederò per vie legali. Per non avvertire il balordo di turno in anticipo, mi limiterò a chiamarlo in questo post Alì Babà. I quaranta coglioni (purtroppo) sono gli schiavi che ha assunto.
Cosa diresti se venissi a scoprire che il locale sotto casa tua:
– Assume stranieri e italiani senza contratto.
– I suddetti stranieri e italiani lavorano 9 ore e mezza al giorno, senza pausa, se non 10 minuti per mangiare.
– I suddetti stranieri lavorano senza misure di sicurezza necessarie, a partire dal fatto di tenere nove ore e mezzo le mani a contatto con acqua, detersivi e candeggina, senza guanti (sono vietati da Alì Babà!)
– Ai suddetti viene raccomandato continuamente di non farsi male (senza contratto, l’assicurazione non paga!)
– A una nuova arrivata, dopo tre giorni massacranti di prova (nove ore e mezzo quotidiane), in cui torna a casa con le mani tagliate dall’acqua e dai detersivi e la schiena a pezzi (no, non parliamo di una diciottenne che non ha mai lavorato, ma di una ventisettenne che lavora da otto anni con turni di otto ore al giorno) chiede il contratto, le viene risposto: “Ma quale contratto! Ma neanche tra un mese! Tizia (straniera) lavora da cinque anni senza contratto e Caio (straniero) da due”.
– Tra i dipendenti corre la voce: “dai all’inizio questo lavoro spezza la schiena… poi ti abitui e non fa più male” (mi ricorda tanto i lager questa frase).
Di fronte a tutto questo, cosa diresti? Che è normalità?
E tutto questo avviene a Roma, zona centrale, a pochi passi da un ministero. E la ragazza che ha fatto la prova (straniera anche lei), si domanda: “possibile che sia così nella capitale? Ho lavorato per otto anni in Emilia Romagna, dove anche per un giorno di prova mi facevano il contratto”
E viene da rispondere: “Già, in Emilia Romagna, qui siamo nel terzo mondo, bellezza”
Poi ti mordi la lingua e il sangue ribolle nelle vene. E ti rendi conto che stai per pubblicare un libro che parla delle schiave di strada e che la schiavitù non è finita neanche fuori dalla strada. E siamo nel 2014 e in un Paese che si professa civile, e in una città che si vanta di aver insegnato al mondo la cultura.
No, Alì Babà (italiano), non nel mio Paese, non nella mia città. Ho giurato di non fermarmi finché non vedrò il tuo locale chiuso e te a chiedere l’elemosina per strada, a provare cosa vuol dire lo sfruttamento. O meglio ancora dietro le sbarre, ma per reati fiscali è chiedere troppo in questo Paese.
Voglio vederti arrancare e ricominciare daccapo, a prescindere dalla tua età, con un’idea ben appresa nella mente: senza legalità non si va da nessuna parte. Ti insegnerò che la schiavitù è finita secoli fa e che è un’offesa al concetto stesso di democrazia.
Oggi protestiamo perché sale al potere il terzo premier non eletto dai cittadini. E’ un incazzatura giusta, ma chiediamoci perché non scoppia la rivoluzione. Non si può fare la rivoluzione se la persona che hai a fianco lotta per i suoi “diritti” e calpesta quelli di altri. Io prima sparo (metaforicamente, ovviamente) al mio vicino schiavista, poi, se è rimasto qualcuno in grado di parlare di Stato Civile, inizio la rivoluzione.
E chiedo anche a te, Visitatore, di darmi una mano in questa battaglia. Insegniamo agli italiani ad essere tali. Denuncia chi sfrutta, non essere omertoso. Non giustificare tutto con la crisi e la politica. Perché se vuoi che la cose cambino “in alto”, devi prima partire dal basso. Perché i politici non insegnano agli italiani ad essere tali, essi sono i figli di uno stato che langue a partire dalle classi sociali più basse. Solo partendo dal tuo vicino, puoi arrivare a cambiare le cose nelle istituzioni.
Perché se hai paura a colpire il tuo vicino, che è simile a te e schiavizza, dove troverai il coraggio di cambiare le cose nelle istituzioni?
Chi ruba nel poco, non ci mette nulla a rubare nel molto. Schiaffeggia la mano di chi schiavizza, e sarai pronto a ribaltare questo Paese.
Revolution mode on.
Se sei esperto di diritto del lavoro e sai come denunciare al meglio questi schiavisti, sarò lieto di ascoltarti.