Caro Visitatore,
la recensione odierna è dedicata al libro di Diego Castelbuono, Frammenti. Ho avuto modo di leggerlo nella versione e-book, regalatami dall’autore, che ringrazio.
Prima di partire, un po’ di sinossi.
L’autore così descrive la sua opera: Frammenti è un po’ come una vita al foto finish; è il racconto o meglio una cronistoria di momenti, attimi di pensieri per lo più atrofizzati di una esistenza cercata e vissuta in una sfera di tentata coscienza verso se stessi e soprattutto verso gli altri. L’idea non è nata in un giorno, non è stata una rivelazione, era qualcosa che mi ronzava dentro da molto tempo, da troppo tempo. Di che cosa parlare, quali argomenti trattare? Non era questo l’importante. Lo scopo prefissatomi era la libertà di pensiero in tutti i suoi aspetti; il fluire dell’antico logos in tutta la sua vastità conosciuta e non, era il dominio della mente in tutta la sua sfera piú o meno logica, più o meno comprensibile. La struttura si divide in due grandi blocchi: il primo con “semi” di vita vissuta, “pillole” di momenti della mia giovinezza, cose che mi erano rimasti nella memoria e che si situano nella prima parte consentendo al lettore di saperne di più della mia personalità. Il secondo blocco con una storia d’amore, che sconvolse la mia vita. Le due parti sono unite per mezzo di una lunga corrispondenza di quando le lettere si mandavano ancora con i timbri e i ritardi aumentavano e dilatavano i tempi delle risposte. Lo scambio di lettere lega e allaccia il tutto dando continuità al testo in modo complementare e organico.
Devo dire che è stato un libro capace di mettermi in una posizione borderline molto scomoda. Su un continuum ideale che va dal mi è piaciuto al non mi è piaciuto mi sento posizionato a metà. Chissà se buttando giù queste righe di valutazione riuscirò ad assumere una posizione più comoda.
Parto da una domanda, la stessa che mi pongo ogni volta che mi trovo a valutare un romanzo: lo avrei acquistato? Essendo un lettore accanito, che spazia da un genere all’altro, è facile rispondere limitandosi al contatto con il testo, senza arrivare al banale “di solito leggo altro” o al “non è il mio genere”.
Se mi fossi trovato di fronte a Frammenti, probabilmente non lo avrei acquistato, per un motivo molto semplice: non si capisce cosa l’autore voglia comunicare (sensazione che come vedrai, ho avuto anche in corso di lettura). Si scrive un libro per condividere qualcosa, ma giuro che tuttora non ho capito quale fosse il messaggio che Diego voleva inviarmi… né tantomeno lo avrei capito sfogliano le prime pagine, trovandomi in una libreria e ponderando sull’acquisto, né la quarta di copertina (sopra riportata) mi avrebbe aiutato a convincermi.
Altra componente che non avrebbe aiutato (e che sicuramente non mi avrebbe neanche spinto a sfogliarlo) è la copertina. Cosa vuole rappresentare? La copertina è il primo elemento che cattura il lettore, che gli fa esprimere un giudizio economico: bella/brutta e mi attira/non mi attira. È ciò che aggancia un potenziale lettore, la prima comunicazione che un libro invia a una persona.
E ciò che si richiede a una copertina (a prescindere dalla bellezza) è che comunichi quanto meno qualcosa. La copertina di Frammenti non comunica nulla, né se confrontata con la quarta di copertina (primo legame che un lettore fa), né se confrontata con il titolo. Cosa c’entra con il contenuto?
Okay, caro Visitatore, tutto questo preambolo avrebbe un senso se dovessi dirti perché non avrei comprato il libro di Diego, ma il suo è stato un regalo, l’ho letto e perciò tanto vale entrare nel merito del contenuto.
Anche qui, come ti dicevo, ho faticato a comprendere il libro. Il titolo descrive perfettamente la prima parte di questo romanzo (è diviso in due grandi sezioni): è un insieme di frammenti di vita, difficili da unire in un tutto omogeneo che renda l’idea del messaggio che vuole dare l’autore. In quarta si legge: lo scambio di lettere lega e allaccia il tutto dando continuità al testo in modo complementare e organico. Mi spiace, ma non ho colto questa continuità e omogeneità, perché le stesse lettere sono apparse frammenti a sé stanti.
Cosa voleva comunicare Diego? La sua vita? Personalmente, forse per deformazione professionale, sono un appassionato delle vite degli altri, ma quanti lettori sarebbero disposti a leggere la vita di un Ugo Qualcugo qualunque?
Nella prima parte spesso ho avuto la voglia di chiudere il testo e rinunciare alla lettura.
Devo essere sincero, mi ha portato avanti la capacità di Diego di comunicare emozioni, il suo stile (all’interno di ogni singolo frammento) fluido e scorrevole, la sua capacità di portare il lettore nel sud Italia di decenni fa, e da lì all’estero. Gli spunti sono anche interessanti, ma manca il fil rouge che lega tutta la prima parte, e se c’è, è delegato al lettore il compito di trovarlo (io ho fallito). Sembra una giostra in cui si balla senza capire il ritmo. L’autore nella prefazione esplicita che era suo desiderio pubblicarlo, ma non si capisce quale desiderio voglia stimolare nel lettore perché lo legga.
Terminata a fatica la prima parte, mi sono imbattuto nella seconda, che narra una storia d’amore tra Diego e Pamela, una storia travagliata dei tempi universitari, dove il lettore può ritrovarsi nei luoghi comuni dell’amore, che caratterizzano diverse relazioni. Qui la giostra si ferma, non ci si sente più sballottolati qua e là senza un motivo e cessa la frammentarietà. È la parte che ho più gradito, quella che mi permette di assumere la posizione borderline citata ad inizio romanzo: gli spunti sono interessanti, l’estro creativo aumenta, le emozioni si fanno più tangibili, non c’è più la sensazione di trovarsi di fronte a mille frammenti di uno specchio rotto.
Cosa salvo del romanzo? Cosa mi fa dire che potrebbe anche piacere a un lettore? Proprio la seconda parte e il prosare di Diego, mai pretenzioso e piuttosto umile (lo dico come complimento) nel suo porsi al lettore. Il problema è che per arrivare alla seconda parte occorre passare per la prima. Insomma un libro borderline, che mi fa assumere una posizione di confine, anche se sbilanciata verso il lato negativo.
Aggiungo questo, avviandomi a conclusione. Il giorno dopo averlo terminato, l’ho riaperto, non ricordandomi di averlo terminato. Mi sono chiesto il motivo di questo lapsus, come faccio sempre. E la risposta che mi sono dato è questa: manca una nota conclusiva, un finale, un frammento di specchio che mi aiuti a ricostruire un senso, un tutto che sia più delle singole parti che l’autore mi ha proposto.
Occorre svelare un senso al lettore, non si possono dare solo immagini, emozioni e momenti di vita slegati tra loro.
E’ giusto dire il proprio parere quando si commenta un libro… troppi elogi inutili alla crescita dello scrittore, inondano il web.
Non entro nel merito dell’analisi in quanto non conosco il testo in questione, ma trovo la tua descrizione chiara e illuminante… COME SEMPRE DEL RESTO!
In
Non ho letto il libro qui recensito né, ovviamente, lo farò, data la chirurgica analisi di Giovanni. Sento però di dovermi complimentare con l’amico e recensore, nonché ottimo scrittore, perché crescita e credito si conquistano, a mio avviso, anche e soprattutto così, cassando ciò che va cassato. Basta con recensioni addolcite, basta con recensori che pubblicano i commenti di ciò che è piaciuto loro e glissano, nella più onesta delle ipotesi, su quello che non hanno gradito, tanto per non farsi dei “nemici”. Diamo sempre un nome alle cose, a quelle belle e a quelle brutte nel contempo, senza timori, senza doppifondi, senza ambiguità. Bravo Giovanni, a prescindere dal testo specifico.
I came across this really good page today……