Lo abbiamo sentito dire più volte ed è una drammatica verità. Il mestiere di genitori non lo si può insegnare. Come ha scritto Alessandro Curti, recensito la settimana scorsa, autore di Padri Imperfetti, è un’esperienza (…) un processo (…) un percorso che non finisce mai (…) un ginepraio.
Ma come in tutte le cose, porsi le giuste domande può aiutarci ad aggiustare il tiro, specie se queste domande comprendono la visione di sé stessi in relazione (con i propri genitori, con i figli, con il partner, con la rete sociale e con la società stessa). Alessandro le ha posto a sé stesso diventando padre, e le ha poi riportate nel suo testo (di cui consiglio la lettura).
Oggi le voglio condividere con te, Visitatore, commentandole, perché credo che siano domande che aiutano a mettersi in discussione, dunque a migliorarsi e, in un’ottica di salute, come quella che utilizzo io, sono utilissime a costruire nuovi percorsi genitoriali, a migliorarsi ogni giorno. Sono dunque costruttivistiche e utili ad allargare la nostra visione di figli e genitori e di agenti nel sociale.
1- Che tipo di figlio sono stato?
2- Cosa prendo di buono o scarto di cattivo dal rapporto con mio padre? E con mio nonno?
Queste due domande aiutano a indagare il rapporto trigenerazionale. Io con i pazienti vedo sempre attraverso il genogramma, chi sono o chi erano i loro genitori e nonni, per almeno tre generazioni. Perché, banalizzando molto il discorso, si può dire che ci sono dei comportamenti che si ripetono di generazione in generazione senza che ce ne rendiamo conto.
3- Come, quanto, dove e perché è cambiata la società dei padri? Degli uomini? Delle donne?
4- La società che tipo di padre vorrebbe che fossi?
C’è un rapporto triangolare che ci lega alla società. I nostri comportamenti influenzano e sono influenzati dal contesto di vita in cui viviamo, oltre che dalla biologia. È un rapporto bio-psico-sociale, dove questa ultima componente, il sociale, con la sua storia fatta di tradizioni e rotture, ha il suo peso. Quanto è diverso essere padri oggi rispetto al passato? Quanto è e deve essere diversa la relazione con i figli e con le mogli? Quanto i compiti vanno necessariamente divisi equamente tra le mura domestiche, nella cura della casa ma anche dell’educazione e della crescita dei figli? Ma anche: quali sono le aspettative del tessuto sociale? Quanto mi influenzano in positivo o in negativo?
5- Che tipo di padre vorrei essere?
Ovvero quanto è distante il mio Sé attuale da quello ideale? Quanto posso ambirci e quanto è utopia? Quanto mi spiego il riuscirci e il non riuscirci? Quanto ciò guida la relazione con mio figlio?
6- La mia compagna che immagine di padre ha?
7- La mia compagna che tipo di padre vorrebbe per sua figlia?
Siamo in due a fare questo mestiere, o almeno nella maggioranza dei casi è così. Quanto l’altro è una risorsa per me, quanto guido e quanto mi lascio guidare? Quanto insegno e quanto apprendo? Quali sono le sue lenti per vedere la danza relazionale a tre che facciamo? Qual è il suo vissuto di figlia? Quanto influenza le sue aspettative, quanto le carica di possibilità e impossibilità, in relazione alle mie?
8- I padri che ho intorno a me come sono?
Quanto so utilizzare la rete sociale? Quanto la so vedere? Quanto leggo in essa una risorsa per l’educazione dei miei figli?
9- Mia figlia che padre vorrebbe?
Quanto so ascoltare mio figlio? Quanto so soddisfare le sue aspettative senza colludere con esso? Quanto so gestire l’autorevolezza? E se non sono autorevole, sono permissivo o autoritario? Quanto so specchiarmi nei suoi occhi e vedere un buon genitore? Quanto so apprendere dai miei sbagli come genitore e dagli errori della sua età? Quanto so spiegargli che non sono perfetto…?
E aggiungo io una decima… quante volte ci poniamo, caro visitatore, queste domande?