mentre osservo l’alba di un nuovo giorno, dal vagone di un treno che mi riporta prepotentemente a casa, lo spettacolo cromatico che mi si presenta all’orizzonte mi riporta la mente a un romanzo che ho terminato da poco. 84 giorni, di Daniele Pollero.
Potremmo definirlo romanzo breve o racconto o forse nessuno dei due, semplicemente uno scritto di livello e pregio che svela la bravura di Daniele Pollero.
Non aspettarti una storia di senso compiuto, che si svela fin dall’inizio.
Il senso lo troverai solo alla penultima pagina. Quello che troverai nel tuo percorso per arrivarci sono descrizioni accurate, con un linguaggio semplice e aulico al tempo stesso, con una varietà di termini ricchissima, capace di posizionarti davanti a, o meglio dentro, ogni paesaggio e luogo…
In 84 giorni trionfano i colori, le sensazioni, le percezioni. Protagonisti assoluti sono i tuoi 5 sensi, stimolati uno dietro l’altro. Li adopererai tutti, per cercare un senso e, quando lo scorgerai all’ultima pagina, non potrai fare a meno di dirti quanto ti sia goduto percettivamente il percorso per arrivarci.
Sprazzi di colore, di luce, si alternano a sensazioni di vuoto, di buio. Vita e morte si annodano in un percorso sensoriale e in un viluppo di metafore davvero accattivanti, che arricchiscono ancora di più, se possibile, il talento di Daniele.
È come stare di fronte a un quadro astratto, e non capire da subito il senso di quelle forme e di quei colori così ben mescolati tra loro.
Apprezzabili le metafore che, scorse tra i particolari di quel dipinto, le filosofie di vita e di morte dell’autore (come non ricordare le sue parole sul sorriso, o sulla lotta tra Libertà e Sentimento in una relazione d’amore?), apprezzerai la tua guida, la bella, sensuale e misteriosa Alìa, unica forma ben tracciata del quadro. Ti perderai tra tutti questi elementi del quadro, perché grazie a un uso sapiente del linguaggio e dello scrivere, Daniele ti avrà portato dentro di esso, a perderti con lui e con il protagonista.
E poi?
Poi come di fronte all’astrattismo di ogni dipinto, vorrai trovare un senso a tutte le Gestalt e gli sfondi che Pollero ti avrà messo di fronte, utilizzando le sue righe scritte. Guarderai la targhetta descrittiva del dipinto, perché lui sarà già passato alla terza persona singolare, portandoti fuori da quel miscuglio di colori, forme, luoghi, paesaggi sensazioni e percezioni… scoprirai il tragico nesso di tutto.
E ti verrà voglia di leggerlo da capo, perché avrete sentito l’assenza di un colore in tutto lo scritto, il tuo. La rilettura dipenderà dalla domanda: sei davvero disposto a rovinare con la tua razionalità di lettore questo perdersi tra le parole che Daniele Pollero è riuscito a regalarti? 😉
Consiglio la lettura, anche se sono convinto che per apprezzare uno scritto simile occorra avere una mente sensibile all’arte. Libri del genere o si sanno scrivere o non lo si sa fare. Sembra quasi essere presunzione quella di dare tanto spazio alle descrizioni, fino al punto di sacrificare una storia, una presunzione che non ho mai digerito negli autori emergenti. Una presunzione spesso tradita dal non saper scrivere, dall’essere animati dalla volontà di filosofeggiare, riversando su carta un qualcosa che senza talento si trasforma in un pastrocchio di dubbio gusto. Non è il caso di Daniele, perché Daniele sa scrivere, sa farlo egregiamente, lo capisci quando ti ritrovi a galleggiare con lui in una realtà di cui cerchi il senso, e non trovandolo non scappi dal libro, ti convinci che prima o poi arriverà, e nel frattempo ti lasci cullare da questo divagare.
Potrei finire la recensione qui, sarebbe anche una bella chiusura, ma ho il difetto di essere oggettivo e non posso non citare una negatività del testo di Daniele, la stessa che mi stava convincendo a non aprire proprio il romanzo: la casa editrice. Per fortuna riesco ad andare oltre i miei stessi pregiudizi, mi sarei perso un’opera degna di essere letta.
Albatros. Una casa editrice tristemente famosa, una copisteria dai prezzi assurdi. Quanti autori ho visto cadere nei loro fili ammaliatori. Ebbene, se trovi la scritta Albatros, accostata a un emergente, sai che è stato pagato un prezzo assurdo per la stampa, sai che l’autore è stato abbandonato a sé stesso, sai che la cifra pagata annulla ogni avvenuta valutazione da parte della casa editrice stessa. Con essa, che tu abbia scritto una menata assurda, un testo che inizia parlando di una cosa e finendo con un’altra, senza fili logici, o un testo bello quanto i Promessi Sposi, poco importa. Paghi e quindi pubblichi.
Non pubblichi perché selezionato. Non c’è una SCELTA, c’è un servizio costoso. Tutto ciò mi è passato nella mente e mi stava allontanando dall’apertura dello stesso testo: Albatros non è garanzia di qualità, anzi!
Poi sul pregiudizio ha vinto l’idea che l’autore, come altri conosciuti, sarà rimasto solo e non seguito dalla casa editrice, che avrà sì e no avuta mantenuta mezza delle tante promesse fatte da Albatros. Allora tanto vale dargli una piccola mano, almeno leggendo il suo testo. Ne è uscita questa recensione, assolutamente positiva.
E allora aleggia nella mia testa una domanda, sperando di avere da Daniele Pollero o da altri una risposta… valeva davvero la pena prostituire questo talento a una stamperia a pagamento?