Ciò che tu sei urla talmente ai miei occhi e ai miei orecchi da rivestirmi di nuova luce.
(tratto da alcuni scritti personali, non pubblicati.)
Caro Visitatore,
lo scorso lunedì ho avuto una stupenda conversazione di gruppo sull’ascolto e sull’accoglienza dell’altro come atti di amore.
Ne sono uscito più ricco e stimolato ad ulteriori riflessioni. Nei giorni successivi non sono mancate alcune associazioni con il mio romanzo, che vado qui di seguito a proporre.
Partiamo dai livelli di ascolto esistenti. Di solito sono tre:
1. Ascolto della voce: è la tipologia di ascolto più bassa. In questo caso ascoltiamo il suono
delle parole dell’altro, ma non il contenuto. Sappiamo distinguere l’intonazione, le pause, ma non
sapremmo ripetere il contenuto del messaggio. Ricordo un telefilm, in cui il protagonista diceva al figlio: Ascoltare una donna è semplicissimo, anche quando non ti va di sentire le sue chiacchiere. Basta ad ogni sua pausa dire: “ah, ma dici davvero?” E lei si sentirà ascoltata e
e continuerà a parlarti contenta, mentre tu potrai continuare a pensare ai fatti tuoi.
Un po’ misogino, forse, ma realistico… ehm… funziona…. 😉
2. Ascolto delle parole: è il livello medio che attuiamo ogni giorno. Ascoltiamo il messaggio,
rispondiamo, in breve colloquiamo, ma non andiamo oltre. Non ascoltiamo il mondo interno
dell’altro, le sue emozioni, collegate alle parole che utilizza.
E’ un ascolto partecipe ma in qualche modo arido, sicuramente il più diffuso.
3. Ascolto empatico: è l’ascolto più difficile da ottenere, quello scevro da pensieri e pregiudizi.
Si ascoltano le parole ma anche il cuore dell’interlocutore, le sue emozioni, il suo mondo interno.
E’ un ascolto che va oltre le parole.
Come si raggiunge un tale ascolto di alto livello? Il primo requisito è sapersi ascoltare: solo avendo
chiare le nostre emozioni e ciò che proviamo, potremo comprendere empaticamente l’altro.
Per far ciò occorre partire dal silenzio, che non è semplice assenza di rumore. Fare silenzio vuol dire fare deserto dentro, spegnere i propri pensieri, per accendere quelli che di solito copriamo del rumore delle cose quotidiane e materiali, nella nostra fretta di vivere.
Il silenzio parla anch’esso, rivela nuove voci interne che non sapevamo ascoltare. Nella relazione con l’altro, il silenzio rivela molto, porta un suo messaggio. In un gruppo, il silenzio ci aiuta a riprendere contatto con noi stessi, respirando. Quando una discussione è molto accesa e coinvolgente, il silenzio momentaneo ci aiuta a riprendere contatto con noi stessi e con il nostro corpo, ci aiuta a sentirci, a ristabilire un contatto con noi stessi per ascoltare l’altro. Senza questo contatto con noi stessi, difficilmente ascolteremo l’altro.
Il livello di ascolto empatico è quello che uno psicologo deve necessariamente donare al cliente, perché è da esso che parte la cura (oltre alla capacità di fare le giuste domande).
L’ascolto è in ogni caso un atto d’amore, un dono che facciamo all’altro nel far entrare lui e il suo messaggio nella nostra mente e nel nostro cuore. Da qui mi è venuto in mente un legame con il mio romanzo, Selvaggia, i Chiaroscuri di Personalità (se clicchi sul titolo, puoi leggere la trama).
La protagonista, che soffre di un consapevole disturbo di doppia personalità, instaura un lungo dialogo con Daniel, il co-protagonista maschile, spiegandogli il suo mondo, ambiguo, colmo di stranezze, e parlandogli dell’altra sua parte, Martina, sempre in terza persona, quasi fosse un’altra diversa da sé.
Dov’è il legame con l’ascolto? Tempo fa una persona che recensì il mio libro parlò di Daniel come capace di vero amore. Gli chiesi il motivo di tale opinione e mi rispose che a suo avviso era capace di ascoltare, sforzandosi di astenersi dal giudizio, accogliendo quella persona così complessata senza mai darle della folle. In quanti ci riuscirebbero? Mi disse. Per farlo serve dare vero amore.
Ecco dunque il legame. Daniel è capace di vero amore, perché in grado di ascoltare accogliendo Selvaggia, per quanto bizzarra e assurda nei suoi ragionamenti e comportamenti. (Naturalmente quando mi hanno fatto ragionare su questo punto ho risposto di non averci mai pensato: quante metafore si scoprono grazie alle riflessioni dei lettori!).
Io ancora non ho raggiunto un simile livello di ascolto, pur lavorando in un settore che richiede buone doti di empatia: serve un amore incontrollabile e assoluto, verso l’Altro e verso sé stessi.
Un amore che forse solo Dio, e chi valuta gli altri in funzione di Dio e non degli uomini, è in grado di donare.