Nell’ottica di analizzare i personaggi principali del romanzo, dopo aver parlato di Daniel passo ora a Martina, il personaggio forse più complesso e problematico.
Qui l’analizzo singolarmente, slegato perciò dal suo secondo (o principale?! 😉 ) Sé, costituito da Selvaggia.
Mi interessa prenderla come persona finita, per darne una visione più profonda ed evidente, sempre evitando lo spoiler 😀
Partiamo dalle parole di Selvaggia: ‹‹ Martina vive in me e io in lei, ma non siamo la stessa persona.››
Salvo alcune brevi apparizioni, infatti, il lettore conoscerà Martina unicamente dalle parole della dark, che ne parlerà sempre in terza persona, pur essendo un tutt’uno con lei.
Dai pochi incontri tra Daniel e Martina sarà subito lampante la scontrosità della ragazza.
La prima parola chiave per lei è infatti asocialità: Martina appare completamente sfuggente ai rapporti sociali, quasi fosse circondata da una cortina protettiva, da un guscio che la isola dal resto del mondo.
Se sollecitata con qualche domanda da risposte evasive, o che chiudono nettamente la conversazione, senza possibilità di rilancio dello scambio, destinata a morire nell’apatia.
La seconda parola chiave è alessitimia, è questo infatti il nome del disturbo che coinvolge Martina, che riguarda l’incapacità patologica di vivere le proprie emozioni, di saperle provare, descrivere e dunque comunicare all’altro.
Il risultato è nella terza parola chiave, l’apatia o anche anaffettività: il vivere senza emozioni apparenti.
La quarta parola è la solitudine, quell’isola in cui Martina si è rifugiata, come naufraga di una vita che l’ha schiacciata e distrutta già in adolescenza e da cui è incapace di uscire.
L’ultima parola è Pezzo di Ghiaccio, il nomignolo che le viene attribuito al primo incontro con Daniel, che rende l’idea della freddezza della ragazza, del congelamento interno delle sue emozioni. Mi sollecita l’immagine di un iceberg che vaga silenzioso e solitario per l’oceano della vita, talmente lento da sembrare immobile. Un movimento però ce l’ha, che sfugge agli occhi di chi lo vede, come pure ha una profondità, perché la punta visibile è nulla rispetto a ciò che c’è sotto il pelo dell’acqua, e che solo chi ha la pazienza di scavare e capire, come Daniel, può scoprire.
Una volta un amico si sfogò con me dicendomi che al mondo c’erano moltissime persone superficiali. Gli risposi che non credevo nell’esistenza di questa tipologia di persone: ognuno di noi ha una sua profondità. La possibilità di accedervi è data però dallo spessore del muro che mettono tra noi e loro, da quanto ci permettono di osservare del loro mondo e, non meno importante, da quanto sono sviluppati i nostri sensi per scavare in loro. Non è altro che un gioco relazionale, in cui entrambi gli interlocutori sono coinvolti. Se si vince, si arriva in profondità; se si perde, si resta alla superficie.
Per concludere faccio una domanda provocatoria: alla luce di queste difficoltà emotivo-relazionali, cosa rappresenterà per Martina, Selvaggia, questo Sé opposto e pieno di vita? Una morte definitiva o una speranza di sopravvivenza?
Buone interpretazioni 😉